Santo
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Chiesa di Santo di Thiene: origine prodigiosa Santo di Thiene è la frazione che si incontra, partendo da Thiene e andando verso Vicenza. Fertile zona di pianura, circondata da monti, che nelle limpide giornate di sole, formano una corona: il Carega, il Pasubio, il Novegno, il Summano, il monte Corno e in lontananza il monte Grappa. Questa frazione di Thiene, ha un’origine molto antica. Qualcuno la ritiene prodigiosa. Questo perché, facendo riferimento ai “Frammenti di cronaca vicentina” di Conforto da Costozza, notaio vicentino, uno dei più riguardevoli uomini di Vicenza, che scrisse un codice, nella seconda metà del secolo XIV (1371-1387), che si conserva nella biblioteca Bertoliana di Vicenza, riprodotto dal Muratori nel Tomo XIII dei “ Rerum Italicarum Scriptores”, all’anno 1382, dà relazione del seguente avvenimento: “Dum quidam iuvenis de Cartrano, di VII augusti, veniret Vincentiam et esset in partem de Tienis cum suo plaustro ponderato, ultra prata de Tienis, perpendens suam tunicam amisisse, descendit improvvise de plaustro et rediens, ea inventa, dum rediret ad plaustrum suum prospiciens in terram vidit quondam hostiam, qua acepta et fracta volens ex ea comedere, dicitur ex ipsa sanguinem vivo scaturisse. Ipse enim hoc affirmat et quidam qui supervenerunt similiter” “ Venendo ai 7 di agosto del 1382, un giovinetto di Caltrano verso Vicenza, presso i prati di Thiene, accortosi di aver perduto la giubba, scese dal carro carico, e mentre trovatala facea ritorno al suo veicolo, vide una particola in terra. Ricoltala e spezzata, volendo trangugiarla, si dice abbia mandato vivo sangue: lui stesso e molti altri sopraggiunti lì, affermarono. Non parlo dei miracoli, che si dicono avvenuti di poi, perché c’è chi li crede e chi no; ma a ricordo sul luogo fu eretta una chiesa intitolata al Santissimo Sacramento”( traduzione di mons. Domenico Bortolan, bibliotecario della Bertoliana. 1885). Questa chiesa del Santo viene menzionata anche dal Padre Francesco Barbarano de Mironi, o Francesco da Vicenza (Vicenza, 1596 – Vicenza, 1656),che è stato un religioso e storico italiano, cittadino della Repubblica di Venezia, predicatore Cappuccino della Provincia di San Antonio, che nel libro 6 della “ Historia ecclesiastica della città, territorio e diocesi di Vicenza” descrive l’origine della chiesa in questo altro modo, completamente diverso rispetto a quello di Conforto da Custoza, attribuendola a un nobile componente la famiglia dei “Della Scala” signori di Verona; La famiglia Della Scala, anche detta Degli Scaligeri, fu una ricca e potente dinastia che governò sulla città di Verona e gran parte del Veneto per centoventicinque anni, ininterrottamente dal 1262 sino al 1387. “ Cavalcando uno dei Signori della Scala ( che longo tempo furono Padroni di questa città, come si dirà negli annali) da Thiene a Vicenza con molti servitori, vide fra le spine un meraviglioso splendor, e al medesimo tempo tutti li cavalli piegarono le ginocchia. Stupiti di tal cosa fu cercato tra le dette spine dove si trovò un’ Hostia, quale si dallo splendore, come dalla genuflessione de’ Cavalli fu giudicata consacrata, per il che fu presa, decentemente collocata, et in quello stesso luogo fabbricata una chiesa, una pilastrata della porta maggiore della quale è la scala solita impresa de Scaligeri, e nell’altra l’Hostia, ma con questa differenza, che la scala è intagliata dentro nella pietra viva; ma l’Hostia è lasciata di rilievo della stessa pietra dalla quale porge fuori spicatamente. Et io l’ho veduta moltissime volte. Con ogni possibile diligenza ho cercato nelle scritture di Thiene per trovar di ciò qualche memoria, solo trovo che del mille trecento quaranta sei Frignan figliolo di Mastin dalla Scala possedeva la decima di Thiene datali dal vescovo di Padova, l’anno mille trecento trenta sei. Onde può esser, che ad esso avvenisse il sopradetto caso. La chiesa si nomina Sant’Antonio da Padoa, et è della comunità di Thiene, come si dirà più pienamente nel sesto libro (Storia Ecc.di Vic. libro 1 pag 187 e 188) Parla più diffusamente il P. Barbarano nel sesto libro della sua storia ecclesiastica di Vicenza alle pagine 103 e 104 e scrive: “L’altra chiesa da descrivere è intitolata a s. Antonio da Padova, sebbene comunemente si dice il Santo, ed è nella strada maestra da Thiene a Vicenza, poco lontano da Villa Verla. Per tradizione si dice che fosse fabbricata con tale occasione, come anco si disse nel mio primo libro…. Uno de’ Scaligeri( quali molto tempo signoreggiarono Vicenza, e Vicentino) cavalcava con molti altri da Thiene alla città, e giunto dove hora è la Chiesa, vide fra le spine un meraviglioso splendore, e allo stesso tempo il suo Cavallo piegò le ginocchia, il che medesimamente fecero tutti gli altri. Meravigliato di tale cosa, fece cercare tra le spine, dove fu trovata un’Ostia, onde si dal splendore, come dalla genuflessione di quelle bestie fu stimata consacrata, perilchè riverentemente pigliata, ed in luogo decente fu collocata, ed in memoria del seguito, fece detto Scaligero fabbricare una chiesa, ed in una pilastrata della Porta maggiore, qual è tutta di pietra viva, durissima fece scolpire un’Ostia col crocifisso in mezzo, rilevato fuori d’altra pietra, che tutta si vede, e nell’altra pilastrata una scala non di rilievo, come l’Ostia, ma intagliata nel sasso. E fu intitolata san Antonio in memoria della mula, che per ordine del Santo lasciata la biada, benché fosse digiuna di tre giorni, andò ad adorare il ss. Sacramento, come nella sua vita si legge. Di ciò non ho trovato alcuna scrittura, benché diligentemente da me cercata; ho però veduto l’Ostia, e la scala predetta moltissime volte, onde mi do a credere che la dotta tradizione sia verissima, e nelle scritture della Comunità di Thiene ho trovato, che del 1346, Frignan Figliuolo di Mastin della Scala riscuoteva la decima di Thiene, la quale a Scaligeri fu data dal vescovo di Padova del 1335, onde può essere, che al detto Frignan ciò avvenisse. Andato a posta nella Chiesa per vedere, se della sua edificazione trovavo qualche memoria, solamente ho trovato sopra la spalla sinistra dell’immagine di s. Paolo, dipinta nel muro, in lettere Longobarde queste parole: PLMra fuit Joseph germenste in Sacerd. Ind. Bergasmasego… tosco. Credo, che la prima parola voglia dire Pictor. Queste pitture furono fatte innanzi l’anno 1428, essendo in esse molte memorie intagliate nella calcina sopra le medesime figure; onde si vede, che quelle sono state fatte dopo, che fu la Chiesa imbiancata del 1618. e con tale occasione cancellate altre figure d’essa. In quell’epoca Thiene dipendeva dagli Scaligeri, come tutto il vicentino( 1312-1387) Il Barbarano dice di aver trovato nelle scritture di Thiene che nell’anno 1336 il Vescovo di Padova Ildebrandino diede la decima di Thiene a Frignano, figlio di Mastino della Scala, il quale la possedeva nel 1346. Questi mandò a governare Thiene due rettori, Ubertino dei Pegolotti e Nicolò Macchiavelli, capitano di Thiene per Antonio della Scala. Era quindi naturale che il fatto che si svolse esattamente all’epoca di questo ultimo capitano, portasse il sigillo di chi governava: i della Scala. Secondo la tradizione popolare ci sono altre versioni descritte da fratel Aldo Benetti. Una tramanda che la particola fosse stata abbandonata dai ladri che in quel periodo facevano razzie di oggetti sacri nelle chiese. Il Rando ( Francesco Rando- Sulle rive dell’Astico) racconta il fatto in modo diverso dagli altri, come lo tramandarono i cittadini di Caltrano. Un certo indemoniato chiamato “ Lingua di fuoco” aveva portato via da un tabernacolo un’Ostia consacrata, perdendola, quando era diretto a Thiene per una profanazione con altri compagni. Quell’Ostia che egli perse fu ritrovata dal giovane di Caltrano, e alla vista di questo miracolo “lingua di fuoco “ si convertì e finì sul monte Rua, che è un alto colle di Teolo, vicino a Padova, a fare penitenza. Si ama anche seguire una tradizione locale che racconta di un cappellano di Thiene che ritornava dalla campagna con la pisside, dopo aver portato la comunione ad alcuni ammalati (infieriva nella zona il contagio). Ad un tratto si sollevò un furioso temporale. Il sacerdote, scavalcando un fosso con siepe, inciampò e rovesciò il sacro ciborio. Raccolse le particole in fretta, ma una fu portata via dal vento: il sacerdote non se ne avvide e continuò il suo cammino. Ci devono essere stati dei prodigi, qualunque sia stata la provenienza della particola, se nel giro di poco tempo venne edificata una chiesa in un luogo disabitato e boschivo, chiesa di maggiori proporzioni di quella di San Vincenzo a Thiene (1333) e di San Simeone a Villaverla (esistente nel 1297). In un catastico ( registro notarile)del 29 dicembre 1431, la località, in cui sorse la chiesetta , viene definita “ora Sanctis sive Buscheti”, aveva preso questo nome da “ecclesia Sancti” ed in un inventario del 1461 si trova scritto “ecclesia de Sancto sive Corporis Christi” ; si incominciò, in questo modo ad utilizzare le due denominazioni. La parola “Santo”, precisa Don Angelo Ziliotto, primo curato del Santo, in un suo studio presentato al Cav. Rossi di Thiene, fu la logica abbreviazione di “Santissimo Sacramento”, parola che assume un significato religioso. La devozione di San Antonio, sotto il titolo del Santo comincia ad apparire nel 1488, come si rileva dalla visita pastorale del Vescovo Barozzi di Padova, il 2 novembre 1488. In seguito i vescovi accennano alla doppia dicitura, come attualmente si intendono i due titoli, con reale doppio significato. Nel 1602 il vescovo Marco Corner ordina che da allora e in seguito, questa chiesa del Santo, fosse chiamata sotto il titolo di San Antonio di Padova. Scrive ancora il Benetti che per il rispetto della prima denominazione: “Santissimo Sacramento” si adottò il titolo di “Santo”. Ma di “Santo” senza nome a Padova e nel mondo non vi è che san Antonio, per cui il prodigio del SS.mo Sacramento, raccontato dalle tradizioni, ha una certa analogia col miracolo della mula di San Antonio a Rimini; lo dimostrava anche l’affresco del Thienese Costalunga (del sec. XVIII) sull’antico muro della chiesa di cui rimane una testa di San Antonio in Sagrestia( cioè il miracolo della mula). Subito dopo il prodigio del ritrovamento dell’Ostia, che tanto impressionò i Thienesi, fu costruita una chiesa, ( come possiamo intravvedere nel dipinto del Costalunga) lunga m 16.40 e larga m 8,70, cioè come l’attuale navata centrale. Aveva muri formati di sassi e ciottoli legati da calce. Fu dipinta prima del 1428 e mancava di pavimento fino al 1488. Fu poi dipinta di bianco nel 1618. Nel 1958, durante la demolizione degli archi all’interno, fu rinvenuto un affresco che si trovava sotto la lesena verso la stalla della canonica, che era attaccata alla chiesa stessa, che rappresenta la Madonna con il Bambino, che ora è posto sopra la porta principale, all’interno della chiesa. Lo Ziliotto a tal proposito dice: “sta una pittura contornata a grafite, rappresentante un’immagine della B.V.Maria a tre colori, di grandezza naturale, pittura che certamente risale al secolo XV, verso il 1410, e può darci un’idea del genere di pittura della quale era ornata la chiesa nel principio del secolo XV, come troviamo in documenti del 1488. Il documento storico marmoreo, che si trovava al lato della porta d’entrata- come scrive il Barbarano - e che ora sta sotto il tabernacolo, viene ad essere il cippo con l’Ostia e il calice e la scala scolpiti. Don Ziliotto scrive anche a proposito dell’altare antico: “Ai lati della pilastrata od erta, spezzata, rinchiusi fra due ringhierette, si trovano due grosse lastre di pietra viva che portano tracce di quattro segni neri, indecifrabili. Tali pietre fino al 1921 giacevano alla profondità di circa m 1,50 dell’attuale pavimentazione della chiesa e proprio sotto l’iscrizione: L.V.A ( Luogo del Vecchio Altare). Esse sostenevano un ammasso di muro omogeneo formato di grossi sassi legati in calce viva, dove non ci sono mattoni. Questo muro era lungo m 1,30, largo m 0,45, alto m 1,50 e si conserva fra un’inferriata nella stanza dei quadri votivi, quale ricordo del primo altare”. Ora tutto questo ammasso è scomparso; rimangono alcune pietre vicino al cippo dell’antico altare. Il parapetto dell’altare maggiore, in stile leggermente barocco, rappresenta nel centro l’ostensorio adorato da due angeli, ritenuti della scuola del Michelangelo. Questa chiesa ha inoltre tre tele : “Natività” , “Adorazione dei Magi”, “Adorazione dei Pastori, e la pala di San Antonio ”. Sono state recentemente restaurate e riportate all’antico splendore per interessamento del Parroco Don Giulio Ballan. La terza è stata restaurata per interessamento di un artigiano locale , la quarta con il sostegno economico di un artigiano devoto a san Antonio, da fuori paese.. Esse sono opera del pittore del XVIII secolo Costantino Pasqualotto. Altre quattro tavole pittoriche sono poste in alto sotto la cupola e rappresentano i quattro evangelisti, di scuola veneziana. Sono rappresentati con la simbologia tradizionale, che fa riferimento al profeta Ezechiele e all’Apocalisse. Il riferimento è alla SACRA QUADRIGA, il misterioso cocchio di Dio, condotto - secondo una visione del profeta Ezechiele (1,5) ripresa dall'Apocalisse - da quattro "esseri viventi" che avevano sembianza di uomo, di leone, di bove e di aquila. Gli antichi autori cristiani applicarono agli evangelisti le simboliche sembianze della profezia, riconoscendo nel Vangelo il nuovo trono di Dio. MATTEO fu simboleggiato nell'uomo alato (o angelo), perché il suo Vangelo inizia con l'elenco degli uomini antenati di Gesù Messia; per i bambini si può fare riferimento anche all’angelo che va in sogno a Giuseppe in varie circostanza per trasmettergli la volontà di Dio (per rivelargli la natura divina del figlio atteso da Maria, per mandarlo in Egitto e salvare il Bambino da Erode, per farlo ritornare a Nazareth). MARCO fu simboleggiato nel leone, perché il suo Vangelo comincia con la predicazione di Giovanni Battista nel deserto, dove c'erano anche bestie selvatiche e perché la voce di Giovanni è come un leone ruggente. LUCA fu simboleggiato nel bove, perché il suo Vangelo comincia con la visione di Zaccaria nel tempio, ove si sacrificavano animali come buoi e pecore; è anche il Vangelo della mansuetudine di Cristo (es. la parabola del figliuol prodigo) e il bue è notoriamente un animale mansueto. GIOVANNI fu simboleggiato nell'aquila, l'occhio che fissa il sole, perché il suo Vangelo si apre con la contemplazione di Gesù-Dio: "In principio era il Verbo..." (Gv 1,1). L’aquila è l’unico uccello che può fissare il sole senza accecarsi, così Giovanni ha contemplato Gesù Cristo, il Sole dell’umanità e non è rimasto accecato, anzi la sua visione è stata completa poi nell’Apocalisse. Nel 1553 il vescovo F. Pisani “ concede il permesso al magnifico comune di Thiene di far celebrare quattro volte al mese la S. Messa da un eremita nella cappella del Santo, posta nel territorio di Thiene. Pare che questo eremita fosse dei Gerolimini, o di Santa Maria di Isola Vicentina, perché solo questi erano così chiamati a quel tempo nei nostri dintorni: gli altri erano chiamati Frati. Nella chiesa del Santo al tempo dello Ziliotto c’erano anche ex voto che lui suddivide in tre gruppi: 1. gruppo grucce con alcuni quadri ex voto, dipinti in tavola ad olio, logori dal tempo, senza data 2. gruppo di schioppi con quadri ex voto, dipinti in tela e in tavola con data storica. Il primo risale al 1677. 3. gruppo di cuori in argento. Attualmente alcuni di questi oggetti sono riposti in canonica. Nel 1886 i thienesi, mentre c’era il colera, per tre volte fecero un pellegrinaggio al Santo con l’Arciprete Dell’Eva. Dietro l’altare una tela dipinta presenta tre nuclei, che forse sono di diversa origine; San Antonio del Costalunga, con sotto un altro san Antonio migliore, Cristo che ascende in cielo e il Beato Giobbe vicino ad una pianta con i bachi da seta. Anche questa tela è stata restaurata, su interessamento di Antonio Pavan, di Antonio Benetti e del parroco Don Massimo Toniolo nel dicembre 2017. Don Angelo Ziliotto a questo proposito scrive:” unico nei dintorni è il tradizionale secolare concorso alla benedizione dei bachi da seta, nelle due ultime domeniche di aprile, San Marco e nella prima domenica di Maggio. Vengono dal piano, dai colli per 20 giorni, davanti alla pala di San Antonio che contempla il Redentore, mentre addita il Beato Giobbe, e offrono olio, cera e denaro al taumaturgo”. Il Rossi dice che il Costalunga “dipinse la tavola del Santo”; suo doveva essere anche il dipinto che si trovava sul soffitto, suo il volto di San Antonio, e la palma con i vermi, cioè i bachi da seta , accanto al santo forse un tempo san Girolamo, divenuto in seguito il Beato Giobbe. Dall’archivio parrocchiale di Thiene, nella cartella “ Chiese Minori di Thiene” troviamo annotate anche le visite pastorali alle chiese minori di Thiene. Nel 1488 si nomina la chiesa del Santo. Il Vescovo Pisani fa una visita nel 1553. San Gregorio Barbarigo la visita l’otto settembre del 1668 “ Ego visitavi oratorium s.Antonii de Padua de iure magnifice Comunitatis tienarum”. Vi celebra la messa al Santo il sacerdote Agostino Tosino, il cappellano che celebra pure a S.Maria Maddalena di Thiene. Ancora il Barbarigo visita la chiesa il 27 giugno 1675: “Ego visitavi oratorium satis antiquum S.Antonii de Padua quod est de iure Comunitatis Tienarum”(ho visitato l’oratorio molto antico di san Antonio da Padova che è sotto la giurisdizione della comunità dei Thienesi). Il cardinal Corner fa la sua visita il 19 novembre 1701: “ Visitavit Ecclesiam sub invocatione X.sti Redemtoris vel scilicet ut vulgo dicitur Sancti. De iure… ( ha visitato la chiesa dedicata a Cristo Redentore o chiamata anche dal volgo Santo). Il Vescovo Giovanni Minotto compie la sua visita il 17 maggio 1733:” Visitavit Ecclesiam campestrem del Santo de iure comunitatis… ”. Il Cardinal Rezzonico fa la sua visita il 29 agosto 1745: “ Visitavit Ecclesiam in campestrem sub titulo Ascensionis seu Sacti Antonii de Padua de iure comunitatis Tienarum”.( visitò la chiesa campestre intitolata all’Ascensione o a san Antonio da Padova che dipende dalla comunità Thienese). Il cardinale accenna all’Ascensione, forse perché la nuova pala dell’altare contiene il Cristo che sta ascendendo al cielo. Il vescovo Nicolò Antonio Giustiniani la visita il 15 giugno 1776. Dondi dell’Orologio: il 30 giugno1812: “ Visitavit Ecclesiam Campestrem sub titulo Ascensionis , in vulgo “ Il Santo di Padova” della Comunità di Thiene”. Modesto Farina: il 28 aprile 1827: “ Visitavit oratorium publicum D.Antonio Patavino, de iure comunitatis Tienarum”. Oltre al santuario era della comunità anche la casa adiacente alla chiesa del Santo, come dice san Gregorio Barbarigo l’otto settembre 1668: “ Visitavit …. Custoditur clavis Ecclesiae a Jacobo… commorante in domo vicina, ipsi a Comunitate concessa” ( La chiave della chiesa viene custodita da Jacopo che abita in una casa adiacente, data a lui dalla comunità thienese). Mappa tratta dal Catasto Austriaco del 1800, presente nell’Archivio di Stato di Vicenza. Il mappale è il n 21 di Thiene. Si nota la zona dove c’era l’oratorio del Santo e il grande Palazzo di via don Ziliotto. Cosa avvenne dal 1900 in poi? La chiesa, già presente nei mappali dell’epoca appariva con queste forme che vediamo nel disegno , fatto da G Folladore il 17 luglio 1901 con presenti i segni per un ampliamento che poi verrà attuato nel 1914.(disegno trovato nel lascito Bonato presso la biblioteca di Schio). Il Vescovo di Padova Cardinal Antonio Callegari il 15 maggio 1903 visita l’oratorio, lo trova dedicato a San Antonio, in ottimo stato e sufficientemente provveduto di quanto occorre alla celebrazione dei Divini Misteri. Dal “Liber cronicus” del Santo ( un quadernone dove i vari parroci hanno annotato gli avvenimenti più importanti succeduti nel tempo) attingiamo parecchie informazioni che riguardano la vita della comunità nel suo formarsi. Dal “Liber Cronicus” del Duomo di Thiene abbiamo attinto altre informazioni che riguardano le visite Pastorali dei Vescovi e i loro atti ufficiali. Da questa annotazione di Don Angelo Ziliotto, ricaviamo alcune informazioni: durante l’autunno del 1908 fu nominato Rettore della chiesa del Santo il sacerdote novello Don Fortunato Pancrazio. Fu il primo curato e prese alloggio nel palazzo di Paolo Spiller in corte del Santo e svolse il suo apostolato fino al 1909. Poi si succedettero molti sacerdoti provenienti dal seminario “il Barcon” Il secondo curato fu don Erminio Vigato che insegnava anche nella Classe Terza delle elementari di Thiene e anche lui abitava in corte, nella casa di Paolo Spiller. Don Angelo Ziliotto il 5 maggio del 1910 celebrava al Santo. Nel 1912, il 14 novembre Don Angelo Ziliotto, insegnante nelle scuole elementari del collegio Barcon, direttore dell’Orfanatrofio maschile di Thiene, diventa il terzo curato del Santo e nello stesso tempo insegnante nella scuola elementare della frazione. Abita inizialmente nella corte del Santo, nel palazzo Chilesotti proprietà del cav. Paolo Spiller di Cesuna. Nel 1911 viene costruito un piccolo tabernacolo, in lastra di metallo dorato, con relativo tronetto fatta da mons. Flucco, arciprete di Thiene, essendo Curato del Santo don Erminio Vigato. Il 18 aprile del 1911 anche al Santo c’è il SS. Sacramento nel nuovo altare. Questo fu un fatto importante, poiché la chiesa trae la sua origine dal ritrovamento di un’Ostia. Per opera di don Angelo Ziliotto, nel 1914 mentre era cappellano e maestro elementare del comune, furono incominciati i lavori della facciata della chiesa di San Antonio, sotto la guida e con i progetti di Gerardo Marchioro. Nell’agosto vengono completati i lavori ponendo sulla facciata le sculture del professore dell’accademia di Vicenza, Napoleone Guizzon. Negli anni 1921-23, don Angelo Ziliotto inizia i lavori di ingrandimento della chiesa stessa: viene alzata la navata e allungato il coro. Poi a questo punto i lavori vengono sospesi. Il signor Gerardo Marchioro è riconosciuto come archittetto, anche se non lo era, per la sua grande precisione, accuratezza nei lavori e onestà nei prezzi. Notiamo nella foto sopra la stalla addossata alla chiesa, il rosone sopra il portone e la due statue laterali: San Gaetano Thiene a sx e San Rocco Nello stesso anno 1914 si legge nel libro cronologico del Duomo “ I buoni villici del Santo pensarono di fabbricare una palazzina per abitazione del loro Cappellano, vicina alla chiesa, su terreno prospiciente l’oratorio, in parte donato dal Signor Spillere di Cesuna. Il disegnatore fu Giorgio Pravato, sopraintendente ai lavori del Duomo di Thiene. La spesa totale fu di £ 11200. La casa rimane di proprietà di una commissione di abitanti del Santo, cui fa capo l’Arciprete Mons. Flucco, per garanzia. Il 26 gennaio 1920,avviene la visita pastorale del Vescovo Luigi Pelizzo che fu Vescovo di Padova dal 1912 al 1921. Dal resoconto della visita pastorale di questo vescovo, riportate da Antonio Lazzarini, in riferimento al Santo, si trova che il curato e cappellano è Don Angelo Ziliotto, che la predicazione è fatta dal Ziliotto che spiega il vangelo ogni festa, che la dottrina cristiana si tiene in chiesa per gli ammessi alla comunione, in sagrestia per i non ammessi. Viene nominata tra gli atti di culto e forme di pietà la Via Crucis del 1847, la tradizionale benedizione dei bachi da seta e tra le associazioni pie viene menzionato il terz’ordine francescano, con circa 70 membri, “animati da buono spirito”. Le offerte vengono mandate alla fabbriceria del Duomo di Thiene. Le tre lapidi che sostengono il tabernacolo, con le tre iscrizioni che ricordano l’origine miracolosa della chiesa e il suo restauro. Sono del 1921. Negli anni 1921-23, don Angelo Ziliotto inizia i lavori di ingrandimento della chiesa stessa: viene alzata la navata e allungato il coro. Ma poi i lavori vengono sospesi. per gentile concessione di un parrocchiano Il 3 maggio del 1925 monsignor Arciprete inaugura un nuovo altare nella chiesa del Santo , campagna, eretto da quella contrada in onore del crocifisso, in memoria dei caduti in guerra. Viene posto dove ora c’è l’altare della Madonna( a destra rispetto l’ingresso). Il Vescovo Elia Dalla Costa definisce i confini della curazia del Santo. Questo avviene con decreto del 10 dicembre 1924. Ora ci sarà anche un archivio per tenere il registro dei battesimi. (Chiese minori; archivio Duomo Thiene) Questo è uno dei progetti presentati in curia. Interessante la facciata con le statue e l'ampliamento della chiesa con le due navate laterali. C'è anche nel lascito Bonato presso la biblioteca di Schio, un disegno simile a questo, dove don Angelo Ziliotto , a matita, annota le sue idee per l'ampliamento. Poi vediamo il progetto dell’altare maggiore fatto dall’architetto Bonato. Notiamo molti particolari che poi sono stati collocati in altre posizioni, per esempio sull’altare di san Antonio. Il marmo non e quello previsto nel disegno; ora infatti ci sono sfondi di marmo nero a sostegno del calice e dei putti. Un disegno, il n° 2 del Bonato, viene approvato dalla commissione dell’arte sacra di Padova l’ 8 febbraio 1924. Ricavato dai disegni del Bonato presso la biblioteca di Schio. Il 26 febbraio 1931 il Vescovo Elia Dalla Costa consegna a Don Angelo Ziliotto la Chiesa di Santo con tutti i beni che le appartengono. La curazia ora è funzionante a tutti gli effetti, anche giuridici. Don Angelo è il curato che amministra i sacramenti, battezza e tiene i registri. Alla chiesa del Santo viene riconosciuta la personalità giuridica. Il 17 febbraio 1941 viene inaugurato il nuovo asilo in quel fabbricato che viene ora utilizzato per la dottrina e per le riunioni. Le suore sono quelle dell’Ordine della beata Capitanio. L’otto di agosto del 1941 la commissione diocesana per l’arte sacra con il Vescovo mons. Agostini approvano il Progetto dell’Architetto Prof. Bonato per l’ampliamento della chiesa Il 6 di giugno del 1943 si ha la trasformazione della Curazia in Parrocchia. Don Angelo Ziliotto è il primo Parroco. Il 26 gennaio 1957, don Angelo Ziliotto, improvvisamente, sulla strada di Borgo Lampertico, dopo aver impartito la benedizione alla salma di Muzzolin Angela Mistica vedova Fortuna, muore. Don Giovanni Rossin di lui dice che era venerando, austero, magnanimo e piissimo sacerdote. Viene sepolto a Sambruson di Dolo. Dopo poco, per intervento anche dei parrocchiani di Santo, viene portato nel cimitero di Thiene, nella cappella dei sacerdoti, dove ancora riposa. Nel giugno del 1957 fa il suo ingresso solenne il nuovo parroco Don Giovanni Rossin , professore al Ginnasio del Seminario-Collegio di Thiene. Nella prima parte dell’anno è amministratore. Nello stesso anno viene restaurato e sistemato il vecchio asilo infantile e arrivano da Padova 4 Religiose, delle Suore Dimesse. Nell’anno 1958 viene ampliata e restaurata la chiesa. Il primo gennaio 1958, si tiene l’assemblea dei capofamiglia, viene fatta l’esposizione del programma e del progetto del restauro. Le famiglie si impegnano a versare 6000 lire annue. L’ingegnere progettista è Giuseppe Dal Ferro da Thiene che nato a Vicenza il 27-10-1924 è morto a Thiene il 7-12-1998. Nel mese di marzo del 1958 iniziano i lavori, viene costruita l’impalcatura davanti alla facciata della chiesa, per l’ampliamento e rinnovamento delle sue linee, secondo il progetto approvato dalla Commissione Diocesana di Arte Sacra il 10 febbraio. Della commissione fanno parte Monsignor Luca Candiotto, P.Pepi O.S.B.,il prof. Lazzarini dell’università di Padova e l’ing. De Besi. Il 24 marzo 1958, dopo gli scavi per le fondamenta della navata di destra viene posta la prima pietra, all’angolo sud-ovest, insieme con la scatola, che contiene la notizia del fatto, con le parole del Padre Nostro e dell’Ave Maria. Nell’aprile del 1958 si ritrova un affresco della Madonna con Bambino che risale alle origini della chiesa (fine del Trecento), opera di scarso valore ma importante per documentazione storica. Viene staccata dal muro e posta sopra la porta maggiore. Nel mese di maggio, terminato il soffitto, si modificano le finestre troppo piccole, si fanno gli scavi per il riscaldamento, ad opera di alcuni bravi giovani di A.C. e di alcuni uomini generosi che lavorano alla sera, dopo il Fioretto dalle 21 alle 23. Nello stesso mese viene demolito all’interno il vecchio altare della Madonna. Il 27 giugno 1958 muore l’impresario signor Alfredo Sbabo di 34 anni di Dueville. Il 18 luglio iniziano i lavori di scavo per la costruzione del campanile e demolizione del vecchio, pericolante e troppo basso rispetto al prestigio della chiesa e posto in una posizione che impedisce lo sviluppo armonico delle linee architettoniche, tanto all’interno che all’esterno della chiesa. Il vecchio campanile aveva due campane che vennero rifuse nel 1907. da un inventario dei beni della chiesa , redatto nel 1931 , ricaviamo che nel campanile erano in funzione quattro campane, di cui la più piccola da richiamo, che furono in uso fino al 1958, quando vennero utilizzate per la fusione del nuovo complesso. Queste campane pesavano quintali 3,60. Sul nuovo campanile fu sistemato un concerto di cinque campane del peso complessivo di quintali 9,15. Campana maggiore q.li 3,20. Scritta :”CORPUS DOMINI/ADORO TE DEVOTE/ LATENS DEITAS/ A.D. MCMLXV” Scritta medaglione: “Daciano / COLBACHINI/ e FIGLI/ Padova/Pontificia/Fonderia”. Reca tre figure: 1) Calice; 2) Ostia; 3) Gesù Crocifisso. Campana Seconda q.li 2,20. Scritta:” Madonna del Rosario/ Ave Maria Gratia Plena/ Ora pro Nobis Peccatoribus/ A.D. MCMLXV. Scritta nel medaglione: “Daciano / COLBACHINI/ e FIGLI/ Padova/Pontificia/Fonderia”. Reca tre Figure: 1) Gesù Crocefisso; 2) Madonna Addolorata; 3) Madonna del Rosario con i Santi Domenico e Caterina da Siena. Campana Terza q.li 1,55. Scritta: “ s: Antonio di Padova / Pereunt pericula/ Cessat et Necessitas. Scritta nel Medaglione: Daciano / COLBACHINI/ e FIGLI/ Padova/Pontificia/Fonderia”. Reca tre Figure: 1) S.Antonio da Padova; 2) San Giovanni bosco; 3) Papa Paolo VI. Campana Quarta q.li 1,30 Scritta: “ San Giovanni Battista / Vox Clamantis / Parate Via Domini”. Scritta nel Medaglione:” Daciano / COLBACHINI/ e FIGLI/ Padova/Pontificia/Fonderia”. Campana Quinta, piccola o di richiamo q.li 0,90. È dedicata agli Angeli e alla memoria di don Angelo Ziliotto, primo Parroco del “Santo” Scritta circolare: “ In honorem Sancti Angeli Custodi” Scritta nel Medaglione:” Daciano / COLBACHINI/ e FIGLI/ Padova/Pontificia/Fonderia” reca tre Figure: 1) S.Pietro; 2) Gesù Crocifisso; 3) Busto di don Angelo Ziliotto. (Nicola Scudella; Campane e campanili di Thiene 1973. Meneghini 1973). CHIESA DI CA’BEREGANE. Anche questa chiesette che fa parte della parrocchia di Santo, ora cadente, era in origine dedicata a San Giovanni Battista. La troviamo nominata la prima volta nella visita vescovile fatta a Thiene dal Vescovo di Padova l’8 settembre 1668. L’elegante campaniletto a vela conserva ancora la sua campanella. Scritta: MDCLVIIII (1659) Reca quattro figure: 1) S.Giovanni Battista; 2) Gesù Crocifisso; 3) S. Martino; 4) Madonna con il Bambino. Il 4 agosto 1958 è una giornata luttuosa per la morte del muratore Pietro Pegoraro di Zanè, che stava lavorando alla costruzione del nuovo campanile e cade da un’altezza di 14 metri. Il 9 agosto la ditta Sbabo recede dal contratto e sospende i lavori. Si riparte con la ditta Lorandi di Villaverla. In settembre si issa la Croce sul nuovo campanile ad opera della Ditta Masella di Milano. Il vecchio campanile In ottobre viene eseguita la tinteggiatura interna ed esterna e viene fatta la posa in opera del pavimento e l’asfaltatura del piazzale ad opera del comune. In novembre vengono collocati i serramenti in rovere della locale ditta Francesco Reghelin e viene posta l’artistica ceramica nella lunetta centrale della facciata, opera del Pittore prof Teodoro Licini, dell’ Arcella di Padova. Il 6 dicembre viene inaugurata la chiesa restaurata da S. E. Mons Girolamo Bortignon, Vescovo di Padova. Il 24 novembre 1963 c’è l’inaugurazione dell’Asilo per l’infanzia, rinnovato e restaurato con nuove attrezzature, banchi, armadietti. Importante l’impianto di riscaldamento a termosifone. Il 15 settembre 1970 don Giovanni prof. Rossin rinuncia alla parrocchia per dedicarsi a tempo pieno all’insegnamento di Italiano, Greco e Latino e viene nominato suo successore Don Cesare Citton, nato a Semonzo del Grappa il 28 maggio 1924. Consacrato sacerdote il 6 luglio 1947 a Padova. Svolge per 12 anni il suo incarico di cappellano nelle parrocchie di san Carlo e poi a Voltabrusegana, entrambe nel comune di Padova e quindi va a Pozzonovo, poi a Santa Giustina in Colle e infine a Piovene. Per 11 anni parroco a Prozolo di Camponogara. Entra in parrocchia al Santo di Thiene il 10 ottobre 1970 e il 13 ottobre si presenta alla popolazione senza particolari cerimonie di ingresso. Vi rimane come parroco fino a Settembre 1999, dopo si ritira nella casa paterna a Semonzo del Grappa assieme alla sua collaboratrice domestica Adele Toniolo. Chi ha conosciuto don Cesare lo ricorda volentieri come persona ospitale, fedele all’amicizia, aperto all’accoglienza verso tutti, indipendentemente dalle idee e scelte politiche, poco espansivo come temperamento ma cordiale. La sua casa grazie anche all’intraprendente e sempre giovanile domestica Adele, è stato punto di riferimento per gli amici, in parrocchia come pure negli ultimi anni a Semonzo. Come prete è ricordato per la sua predicazione chiara, essenziale, concreta e incisiva. A fondamento di ciò c’era tanta preghiera, una viva sensibilità eucaristica, la devozione alla Madonna. Sapeva avvicinare tutti, aveva una speciale cura per i giovani. Era solito visitare i luoghi di lavoro, ha combattuto contro il diffondersi della droga tra i giovani. Muore il 27 di Aprile del 2008 e viene sepolto nel cimitero di Semonzo del Grappa il 30 aprile del 2008. le esequie sono state celebrate dal Vescovo Alfredo Magarotto. Nel giugno 1972 Don Cesare Citton , inizia la costruzione del nuovo asilo per l’infanzia che viene terminato e consegnato il 10 ottobre 1972. Viene benedetto da Mons. Alvise Dal Zotto, professore di Greco e Arte nel seminario Maggiore di Padova, alla presenza del Sindaco di Thiene Camillo avv. Cimenti e del rappresentante regionale prof Giuseppe Sbalchiero. il Governo era rappresentato dall’On.Renato Corrà. L’on. Mariano Rumor è presente al Pomeriggio. La spesa per l’opera è di 65 milioni di lire, dodici dei quali ottenuti dallo Stato in base alla legge 444. Il 30 ottobre 1993 mons. Antonio Mattiazzo, vescovo di Padova benedice e inaugura il nuovo centro Parrocchiale, su progetto dell’Architetto Romolo Balasso di Santo, alla presenza del sindaco Raffaele Fortuna. Opera iniziata dalla ditta Balasso nel 1991 e terminata in buona parte nel 1993. Mancavano ancora gli spogliatoi, stanze e docce per gli sportivi che verranno completate dopo il 2000. La spesa fu di 800 milioni di lire. per le ultime spese viene preventivato un costo di 200 milioni di lire. L'ultimo saluto al parroco don Giulio THIENE - (va.ba.) Si sono svolti ieri mattina, 2 gennaio 2015, i funerali di don Giulio Ballan nella chiesa del Santo di Thiene, officiati dal vescovo di Padova, monsignor Antonio Mattiazzo. Don Giulio aveva 63 anni ed è stato trovato morto alle 16 di martedì, in seguito ad un arresto cardiaco. Don Ballan era nato il 23 luglio 1951 nella parrocchia di S. Giustina in Colle, nell'Alta Padovana. Ordinato sacerdote il 4 giugno 1978. Ha svolto il suo ministero di cooperatore a Cave, accanto a don Attilio Brotto per quattro anni, a San Lorenzo di Abano Terme con l'arciprete monsignor Tarcisio Mazzarotto per due anni, e a Villa Estense con Pietro Liviero per altri quattro anni. Nel 1988 è divenuto parroco di Prejon, nel 1993 passa a Cagnola, sempre nel padovano, e nel 1999 viene nominato parroco del Santo di Thiene. Nel 2010 gli viene affidata anche la cura spirituale della vicina Rozzampia. Nel pomeriggio sempre alle 15 è stata celebrata un'Eucaristia anche a Santa Giustina in Colle, nel cui cimitero verrà sepolta la salma, accanto alla mamma e al fratello recentemente defunti. La salma è stata portata l'altro ieri, nella chiesa per le visite dei fedeli e per la veglia organizzata dai due consigli pastorali del Santo e di Rozzampia Il Mattino di Padova |
PALE di Costantino Pasqualotto Adorazione dei Magi di Costantino Pasqualotto Tela restaurata e restituita alla chiesa del Santo di Thiene l'11 giugno 2015, opera delle restauratrici Alessandra Sella e Giulia Cattelan Per i dati storici del Costantini vedi quadro seguente. Il quadro, dipinto quando il Pasqualotto aveva una sicura padronanza dei mezzi espressivi, che lo porta ai confini del regno dell’arte, è stupendo per la sua luminosità. Al centro del quadro, la luce si irradia dal Bambino Gesù ma anche dai personaggi importanti che gli stanno intorno: la madre e quel personaggio vestito con vesti sontuose, ricoperto di ermellino, con una collana che porta una medaglia forse di una confraternita o di un ordine di magistratura. Questo personaggio, che può essere il committente, sta giocando con uno scapolare che il bambino tiene nella mano. La disposizione dei personaggi lungo una linea prospettica, ricorda un po’ il Veronese. Nello sfondo, in mezzo a nubi dense si intravvede la stella cometa, quella che indica la strada ai re magi. Sulla sinistra della capanna si intravvede una Croce di legno, molto semplice , a prefigurare quale sorte sarebbe toccata al Bambino. Di fianco alla capanna un rudere, sfondo spesso presente nei quadri del Costantini. La Vergine veste di rosso e di colore blu è il suo mantello. Il rosso è il colore più caldo, colore del sangue, e perciò della vita, ma anche del fuoco, dell'amore e dello Spirito. Il manto è blu. Il blu è un colore spirituale, passivo, nello spettro è il più vicino all’invisibile, è il colore del cielo, della dimora di Dio. Erano blu i drappi della tenda del convegno e le vesti del sacerdote nell’Antico Testamento. Nelle icone è blu il manto di Cristo Pantocrator, gli abiti degli Apostoli, metafora di spiritualità e trascendenza. Anche la nudità del Bambino può avere spiegazioni complementari: certo, un neonato viene al mondo nudo ed in questo modo se ne sottolinea anche il genere maschile, entrambi elementi a conferma della «verità storica» dell'Incarnazione, ma la nudità, rituale, allude anche alla mancanza di artifici, all'integrità del Novello Adamo che ci ricongiunge con il Paradiso e sana la frattura degli antichi Adamo ed Eva, celebrando la rinnovata perfezione dell'uomo che potrà così accedere nuovamente alla pienezza della vera Vita e rinunciare alla morte spirituale indotta dal Peccato. I simboli del potere stanno ai piedi del Bambino. Anche i doni offerti dai re magi hanno un valore simbolico. L’Oro, infatti, esprime la potenza terrena e rappresenta quindi l’ordine reale, l’Incenso, che veniva usato sugli altari, rappresenta l’ordine sacerdotale, e la Mirra, che veniva usata per ungere i corpi e conservarli incorrotti, rappresenta l’ordine secolare, il resto della umanità che nella amarezza della mirra e dei sacrifici può sperare di presentarsi incorrotta al trono di Dio. San Giuseppe, sta ad osservare quanto avviene intorno a lui con volto stupito, quasi non capisca quanto avviene di divino. Il suo abito e marrone, quasi a significare la terra o l’ordine francescano. Saluto di don Antonio Guarise Era precisa volontà di don Giulio, completare quel cammino di recupero delle tele più significative presenti in questa nostra chiesa parrocchiale, iniziato con il restauro e la ricollocazione nel febbraio del 2013, della Natività, attribuita al vicentino Costantino Pasqualotto. Dopo l'imprevista e improvvisa "partenza" di don Giulio ci sentiamo impegnati a dare seguito a questo sua volontà. Siamo qui, stasera, proprio per onorare questo impegno nell'accogliere e ricollocare la tela dei Magi, così ben restaurata, anch'essa attribuita allo stesso pittore, sentiamo di ricevere, rinnovato, il dono che è stato di don Giulio per questa Comunità. Presentazione del restauro a cura di Alessandra Sella e Giulia Cattelan RESTAURO DIPINTO SU TELA RAFFIGURANTE "L'ADORAZIONE DEI MAGI" II dipinto su tela raffigurante l'adorazione dei Magi, della Chiesa del Santo Thiene venne eseguito utilizzando come supporto alla tela dipinta (composta da due pezze cucite assieme verticalmente), un telaio realizzato con sottili listelli rispettivamente in legno di pioppo. La tela venne "preparata", cioè rivestita da uno strato di una particolare imprimitura, o meglio mestica pastosa, di colore bruno rossiccio, di natura argillosa, temperata con molta probabilità con olio e colla. Gli strati pittorici furono eseguiti con colori ad olio stesi per velature. L'opera nel momento della presa in consegna si presentava in un pessimo stato di conservazione. Il telaio ligneo di pioppo, fisso e costituito da quattro listelli assicurati tra loro con incastro ordinario e crociera, se pur certamente originale, si presenta tuttavia gravemente ammalorato, per deformazioni delle aste, perdita di adesione dei collanti e dei chiodi posti agli incastri, gravi rosure e attacchi di insetti xilofagi di vario genere. Il supporto tessile, con molta probabilità di lino, presentava uno strato di ammanitura di gesso trapassato in fase di stesura, sul recto attraverso le lacerazioni del supporto; in corrispondenza di alcune di queste lacune vi erano varie pezze di tela, incollate sul retro durante precedenti restauri o interventi manutentivi. La planarità del tessuto era compromessa da estesi spanciamenti del supporto con slonzamenti accentuati soprattutto nella zona inferiore. Gli starti pittorici si presentavano particolarmente degradati, numerose erano le lacune, di piccola entità, dovute a cadute o perdite di preparazione o di pellicola pittorica; queste erano presenti soprattutto in corrispondenza del perimetro del dipinto e nella parte inferiore dell'opera. Visibile, ma non fastidiosa, era la presenza di crettature meccaniche di varia eziologia. Ritocchi, di modeste proporzioni, talvolta stesi su stuccature ad olio, erano presenti sull'intera superficie. Una spessa vernice di natura resinosa, completamente alterata e ingiallita, era stesa uniformemente su tutta la pellicola pittorica; certamente non originale perché sovrapposta a ridipinture. Su tutta la superfìcie del dipinto era possibile riscontrare la presenza di un sottile strato di polvere e sudiciume, dovuto alla sedimentazione di materiale particellato. Intervento Dopo aver considerato tutti i dati, ottenuti da un'attenta osservazione, è stata eseguita la pulitura del film pittorico per rimuovere le vernici non originali e le ridipinture prima del consolidamento e della eventuale foderatura. In considerazione dello stato del supporto tessile e dell'ambiente di conservazione, si è optato per un intervento di foderatura libera ( la tela originale è stata rinforzata sul verso con una tela da rifodero che funge da ulteriore supporto all'opera). Le stuccature delle lacune di preparazione sono state eseguite con stucco (gesso- colla),applicato a pennello successivamente livellato e modellato a bisturi per imitare la struttura della superficie originale. Il vecchio telaio è stato sostituito con un telaio nuovo in legno di conifera stagionato. Prima di fissare il dipinto al supporto ligneo definitivo, dotato di meccanismo di espansione angolare, si è effettuata una verniciatura intermedia e di seguito, è stata eseguita la reitegrazione pittorica con colori a vernice per restauro, con la finalità di ricostruire il tessuto cromatico e ridurre l'interferenza visiva. Al termine delle operazioni è stata eseguita una verniciatura a scopo protettivo La Natività Restauro della Tela: la Natività del Costantini Presentazione di Don Giulio Ballan Parroco di Santo Incomincio la mia presentazione parlando prima di tutto dell’autore dell’opera. Fino a poco tempo fa uno sconosciuto, un illustre sconosciuto, per chi come me, è lontano dal mondo artistico. Oggi invece una presenza ormai consueta, quasi familiare. Costantino Pasqualotto, detto il Costantini, vissuto a Vicenza dal 1681 al 1755, è stato individuato dalla dottoressa Rigoni, Sovrintendente delle Belle Arti di Verona, come autore dell’opera. Costantino Pasqualotto, figlio di Giacinto, fu pittore modesto, chiuso entro anguste esperienze provinciali. Costantino, anche se non ricco di fantasia e di basso spessore culturale, si fa perdonare certe durezze disegnative e la desolante atonia dei suoi personaggi grazie ad un colore assai spesso, vivace e rorido. Può passare da momenti di inerzia spirituale a momenti di alta tensione come nella bellissima Deposizione del Museo di Bassano del Grappa. Sa far cantare i colori con straordinaria vivezza; sa impostare certe scene con sicurezza prospettica, assegnando ai protagonisti collocazioni sapientemente meditate e dando ad essi certezza plastica. Altre volte si arrabatta a dare disciplina compositiva alle scene senza riuscirvi e le popola di personaggi imbambolati e dall’equilibrio instabile, rivestendoli di colori piatti. Quasi totalmente sordo agli stimolanti richiami dei grandi che a Vicenza operarono nella prima metà del Settecento, riesce tuttavia con le sue deboli forze ad affacciarsi all’orizzonte dell’arte; non sono rare le volte nelle quali raggiunge momenti poetici. Poesia del colore, ovviamente: giocato su diafane trasparenze, o su campi cromatici forti. Pasqualotto è un discontinuo anche nel trattare il colore, come s’è detto; spesso lo rende fresco e splendente come una gemma, altra volta lo priva di qualsiasi vibrazione, lo spegne e lo uniforma sotto epidermidi gessose. In questa presentazione dell’autore della nostra opera ho fatto un buon lavoro di copiatura. Fermiamoci un momento sulle nostra opera per sottolineare, anche facendo leva su quanto abbiamo ascoltato circa il Pasqualotto, alcuni aspetti dell’opera stessa, prima di passare, con sollievo, la parola alle nostre restauratrici: Alessandra Sella ( e non Manuela come è scritto, per un mio errore nel libretto di sala che avete in mano) e Giulia Cattelan. Quello che colpisce nell’opera è il suo centro, il bambino con la madre, così luminoso che illumina tutta la scena. E non si può non ricordare che il Natale si pone come il sorgere di un nuovo sole nella storia dell’umanità, sole che illumina in modo definitivo tutta la storia. Ricordiamo che il Natale è stato posto il 25 dicembre perché è il giorno del solstizio d’inverno, giorno di festa per i romani che celebravano il sorgere del nuovo sole. In questo centro colpisce il volto della Vergine, un volto molto bello, che esprime serenità e gioia, in atteggiamento di raccoglimento come ci mostra la mano sul cuore e nello stesso tempo la volontà di mostrare il bambino ai presenti con l’altra mano posta sul capo del bambino. E tutt’intorno un’atmosfera d’attesa, come può essere l’alba di un giorno nuovo. Il cielo è del colore dell’alba, un giorno nuovo che ha sempre il sapore dell’attesa e della speranza. Un giorno nuovo quello del Natale, carico di un’attesa e di una speranza indescrivibili, lasciate all’amore e alla provvidenza di Dio. Il paesaggio è tipicamente veneto, vicentino, con quell’alternarsi di pianura e di collina, quasi a comunicarci che l’Incarnazione è un fatto nostrano, che avviene a casa nostra, come d’altronde ci dice la nostra fede che di parla di un Dio vicino che opera tra di noi e che ha voluto abitare tra le nostre case. La figura di Giuseppe, defilato rispetto alla scena principale e nello stesso tempo presente, posto a guardia del bambino, a sostegno della madre. E’ lui infatti il padre putativo, si dice così, di Gesù, a cui è affidata la cura del bambino e della madre. Un ultimo particolare insolito ma importante: la presenza dell’angelo sulla parte sinistra della tela, quasi fuori dalla scena, e con l’Eucarestia in mano. E’ un messaggio importante: quel bambino che nasce è il Figlio di Dio e la sua presenza, superata l’immagine del presepe, comunque temporanea, e l’immagine stessa di Gesù che percorre le strade della Palestina predicando il Vangelo, anche questa un’immagine necessariamente temporanea, la sua presenza, dicevo, continua in modo stabile e definitivo, almeno fino alla fine del mondo, proprio nell’Eucarestia, il dono che quel bambino ha fatto a noi nell’Ultima Cena: il dono del suo corpo e del suo sangue. Gesù Cristo luce, che qui è "centro luminoso" del quadro (Gesù sole che sorge... Natale giorno del sole nascente per i romani); - la Vergine - con volto bello - e con un gesto di grande tenerezza, che mostra il Salvatore ai pastori; - il cielo mattutino. E' il mattino del Natale, ma è anche il mattino della salvezza. L'Incarnazione come mattino della redenzione e della salvezza. - il paesaggio è tipicamente veneto. L'Incarnazione si realizza "in casa nostra"; - Giuseppe, come sempre, arretrato rispetto a Gesù e Maria, che osserva la scena. E' il padre putativo; - E' interessante l'angelo sul tetto della capanna: ha in mano il Calice con l'Ostia. Quasi a ricordare che l'Incarnazione continua per noi nell'Eucaristia... Don Giulio Ballan 22 febbraio 2013 La tela di San Antonio e il Beato Giobbe In questa zona, negli ultimi secoli venivano coltivati con successo i bachi da seta. Anche questa coltura poneva dei problemi e quindi necessitava di un santo protettore. Il primo parroco, don Ziliotto scrive "Unico nei dintorni è il tradizionale secolare concorso alla benedizione dei bachi da seta, nelle due ultime domeniche di aprile, San Marco e prima domenica di maggio. Vengono dal piano, dai colli per 20 giorni, davanti alla pala di S. Antonio che contempla il Redentore, mentre addita il Beato Giobbe; e offrono olio, cera e danaro al Taumaturgo". Vengono da Vicenza e anche da Bassano. Fu il pittore Costalunga a dipingere la tavola del Santo e la palma con i vermi, cioè i bachi da seta, accanto al Santo( forse san Girolamo ?) che poi è stato interpretato come il Beato Giobbe. Pala restaurata nel mese di dicembre del 2017 Capitello di San Antonio Statua in pietra alta m. 1,50, del santo che ha ai suoi piedi una madre in ginocchio che, con le mani giunte, invoca supplichevole la protezione per il suo bambino che stà accovacciato ai piedi di San Antonio. Il gruppo poggia su un basamento pure in pietra. Sul lato verso la strada provinciale è scolpito il miracolo dell'Eucarestia. L'opera è dello scultore Napoleone Guizzon (1915). Sul lato sinistro è scolpita una scala; sul lato destro un calice e due ostie raggianti. Davanti al gruppo è collocato un bel lampione in ferro battuto. Sullo zoccolo si legge: "Sii saggio, onora il santo e fa buon viaggio". Un pò più sotto: "Origine miracolosa della chiesa In occasione dei 100 anni della statua di San Antonio, posta davanti alla chiesa , alcuni “Antonio” della Parrocchia hanno pensato di offrire il lavoro di pulizia . Ringraziamo il pulitore per la maestria e abilità dimostrate, l’ideatore e gli Antonio che hanno condiviso le spese; come pure ringraziamo il Vicario Don Antonio Guarise, il Sindaco di Thiene, G. Casarotto e Antonio Benetti che hanno fatto un intervento breve ma sostanzioso sul valore della statua, in occasione della sua benedizione. Ora la statua , senza essere stata intaccata nella sua integrità, dimostra ancora tutto il suo splendore. DIETRO la data: 13 giugno 1915, prima guerra mondiale. Essa racchiude in sé la storia e la devozione di tutta questa Comunità del Santo |
Le Formelle di San Antonio: navata chiesa Santo Bassorilievi in gesso a imitazione in parte di quelli dell'Arca del Santo di Padova. I testi sono tratti dal sito del Santo di Padova e dall'enciclopedia Vikipedia. Impostazione e ricerca dei ragazzi del Grest del luglio 2006. San Antonio e il bambino che parla Questa donna fu liberata da morte. E, cosa ancora più grande, un vero miracolo, fece parlare un infante, nato pochi giorni innanzi, il quale rispose alla domanda rivoltagli dall'uomo di Dio.I padre dunque era roso da sì sospettosa gelosia riguardo alla moglie, che nemmeno volle toccare il bimbo natogli alcuni giorni prima, convinto che fosse frutto di un adulterio di lei. San Antonio prese allora in braccio il neonato e gli parlò: "Ti scongiuro in nome di Gesù Cristo, di dirmi a voce chiara, così che tutti sentano, chi è tuo padre". E il bimbo, non farfugliando come fanno i piccini, ma con voce nettamente comprensibile quasi fosse un ragazzo di dieci anni, fissando gli occhi sul genitore, giacché non poteva muovere le mani, legate dalle fasce, disse: "Ecco, questo è mio padre!". Apparizione del Bambino Gesù Trovandosi una volta il beato Antonio in una città a predicare, venne ospitato da un abitatore del luogo. Questo gli assegnò una camera appartata, affinché potesse attendere indisturbato allo studio e alla contemplazione. Mentre dunque pregava, da solo, nella camera, il padrone moltiplicava i suoi andirivieni per le sue case. Mentre osservava con sollecitudine e devozione la stanza in cui pregava sant' Antonio da solo, occhieggiando di nascosto attraverso una finestra, vide comparire tra le braccia del beato Antonio un bimbo bellissimo e gioioso. Il Santo lo abbracciava e baciava, contemplandone il viso con lena incessante. Quel cittadino, stupefatto ed estasiato per la bellezza di quel bambino, andava pensando fra sé donde fosse venuto un pargolo così leggiadro. Quel bimbo era il Signore Gesù. Il cuore dell'avaro In Toscana, grande regione d'Italia, si stavano celebrando con solennità, come succede in questi casi, le esequie di uno straricco. Al funerale era presente il nostro s. Antonio, il quale, scosso da un'ispirazione subitanea, si mise a gridare che quel morto non andava sepolto in luogo consacrato, bensì lungo le mura della città, come un cane. E ciò perché la sua anima era dannata all'inferno, e quel cadavere era privo di cuore. A questa intimazione, com'è naturale, tutti rimasero sconvolti, ed ebbe luogo un eccitato scambio di pareri. Furono alfine chiamati dei cerusici, che aprirono il petto al defunto. Ma non vi trovarono il cuore che, secondo la predizione del Santo, rinvennero nella cassaforte dov'era conservato il denaro. Beatificazione Papa Gregorio IX, che conosceva Antonio, avendo assistito alle sue prediche, accolse gli ambasciatori padovani e nominò una commissione di periti, presieduta dal vescovo di Padova, per raccogliere le testimonianze e le prove documentarie utili al processo di canonizzazione. Fu il papa Gregorio IX che pose la parola fine al processo quando tagliò ogni ritrosia rimasta fissando al 30 maggio, festa di Pentecoste, la cerimonia ufficiale di canonizzazione e che inviò per questo una Bolla «ai nostri cari figli, il podestà e il popolo di Padova». Nella Cattedrale di Spoleto, Gregorio IX ascoltò la lettura dei cinquantatre miracoli approvati e, dopo il canto del Te Deum, proclamò solennemente e ufficialmente santo frate Antonio, fissandone la festa liturgica nel giorno anniversario della morte, il 13 giugno. Padova poté festeggiare Antonio come santo esattamente un anno dopo la sua morte. Ezzelino III Quel despota arrogante e perfido, il crudele tiranno Ezzelino da Romano, nel principio della sua tirannide, aveva compiuto una enorme strage di uomini in Verona. Il padre intrepido, appena venne a sapere l'accaduto, s'arrischiò d'andar di persona da colui, che risiedeva in quella città. E lo apostrofò con queste parole: "O nemico di Dio, tiranno spietato, cane rabbioso, fino a quando continuerai a versare sangue innocente di cristiani? Ecco, ti pende sopra il capo la sentenza del Signore, terribile e durissima!". E molte altre espressioni veementi ed acerbe gli disse in faccia. Le guardie del corpo stavano sulle mosse, aspettando che Ezzelino, come al solito, desse l'ordine di trucidarlo. Ma avvenne ben altrimenti, per disposizione del Signore. Infatti il tiranno, colpito da quelle parole dell'uomo di Dio, depose ogni ferocia e diventò simile a un agnello. La gamba riattaccata Un grande stupendo miracolo fu causato da una confessione. Un uomo di Padova, di nome Leonardo, una volta riferì all'uomo di Dio, tra gli altri peccati di cui s'era accusato, di avere percosso con un calcio la propria madre, e con tale violenza da farla cadere malamente per terra. Il beato padre Antonio, che detestava fieramente ogni cattiveria, in fervore di spirito e in aria di deplorazione, commentò: "Il piede che colpisce la madre o il padre, meriterebbe di essere tagliato all'istante". Quel sempliciotto, non avendo capito il senso di tale frase, nel rimorso per la colpa commessa e per le aspre parole del Santo, tornò in fretta a casa e subito si recise il piede. La notizia di una punizione tanto crudele si diffuse in un baleno per tutta la città, e fu riportata al servo di Dio. Il quale si recò difilato da colui e, premessa un'angosciata devota orazione, congiunse alla gamba il piede mozzato, facendovi il segno della croce. Il miracolo della mula Nella regione di Tolosa il beato Antonio, avendo disputato con veemenza intorno al salvifico sacramento dell'Eucaristia contro un eretico incallito, e lo aveva quasi convinto e attirato alla fede cattolica, sennonché colui, dopo molti e vari argomenti cui si sforzava di sottrarsi, aggiunse queste parole: "Lasciamo le chiacchiere e veniamo ai fatti. Se tu, Antonio, riuscirai a provare con un miracolo che nella Comunione dei credenti c'è, per quanto velato, il vero corpo di Cristo, io, abiurata assolutamente ogni eresia, sottometterò senza indugio la mia testa alla fede cattolica"."lo terrò chiuso il mio giumento per tre giornate e gli farò provare i tormenti della fame. Passati i tre giorni, lo tirerò fuori alla presenza della gente, gli mostrerò la biada pronta.Paratosi per celebrare in una cappella che sorgeva vicino, il servo di Dio vi entrò con gran devozione per il rito della Messa. Terminato questo, uscì verso il popolo che stava in attesa, portando con somma riverenza il corpo del Signore. Il mulo affamato è menato fuori della stalla, e gli si mostrano cibi appetitosi."In virtù e in nome del Creatore, che io, per quanto ne sia indegno, tengo veramente tra le mani, ti dico, o animale, e ti ordino di avvicinarti prontamente con umiltà e di prestargli la dovuta venerazione. Il servo di Dio nemmeno aveva finito queste parole, quand'ecco la bestia, trascurando il foraggio, chinando e abbassando la testa fino ai garretti, si accostò genuflettendo davanti al vivifico sacramento del corpo di Cristo. Il giovane resuscitato Nella città di Lisbona, di cui s. Antonio fu oriundo, - mentre ancora vivevano i parenti del Santo, cioè il padre, la madre e i fratelli -, due cittadini erano nemici e si odiavano a morte. Accadde che il figlio d'uno di costoro, un ragazzo, ebbe a incontrare il nemico di famiglia, che abitava vicino ai genitori del beato Antonio. Colui, spietato, afferrò il ragazzo, lo portò in casa e subito lo uccise. Poi, nel profondo della notte, entrato nel giardino dei parenti del Santo, scavò una fossa, vi sotterrò il cadavere e fuggì.Facendo un sopralluogo nel giardino dei familiari del beato Antonio, fu ritrovato il ragazzo, seppellito nell'orto. Per questo, il giustiziere del re fece arrestare, come assassini del giovane, il padre con tutti quelli di casa. Entrando Antonio in città di mattina, si diresse dal giustiziere, e cominciò a pregarlo di prosciogliere dall'accusa quegli innocenti e rilasciarli. Il giustiziere non voleva credere a quanto detto da s. Antonio. Esso allora si fece portare il cadavere del giovane. Portato che fu il corpo, gli comandò di alzarsi e dire se a ucciderlo fossero stati i suoi parenti. Il ragazzo si destò da morte e affermò che i familiari del beato Antonio erano del tutto estranei al delitto. Morte di San Antonio Nella tarda primavera del 1231, Antonio fu colto da malore. Deposto su un carro trainato da buoi, venne trasportato a Padova, dove aveva chiesto di poter morire. Giunto però all'Arcella, un borgo della periferia della città, la morte lo colse. Spirò mormorando: "Vedo il mio Signore". Era il 13 giugno. Aveva 36 anni. Il Santo venne sepolto a Padova, nella chiesetta di santa Maria Mater Domini, il rifugio spirituale del Santo nei periodi di intensa attività apostolica. Un anno dopo la morte, la fama dei tanti prodigi compiuti convinse Gregorio IX a bruciare le tappe del processo canonico e a proclamarlo santo. La Chiesa ha reso giustizia alla sua dottrina, proclamandolo nel 1946 di «dottore della chiesa universale» San Antonio predica ai pesci Una volta che alcuni eretici, nei pressi di Padova, disprezzavano e deridevano le sue prediche, il Santo si portò ai bordi del fiume, scorrente a breve distanza, e disse agli eretici in modo che tutta la folla presente sentisse: "Dal momento che voi dimostrate di essere indegni della parola di Dio, ecco, mi rivolgo ai pesci, per confondere più apertamente la vostra incredulità". E con fervore di spirito cominciò a predicare ai pesci, enumerando i doni loro elargiti da Dio: come li aveva creati, come aveva loro assegnato la purezza delle acque e quanta libertà aveva loro concessa, e come li nutriva senza che dovessero lavorare. A questo parlare i pesci cominciarono a unirsi e avvicinarsi a lui, elevando sopra la superficie dell'acqua la parte superiore del loro corpo e guardandolo attentamente, con la bocca aperta. Fintanto che piacque al Santo di parlare loro, lo stettero a sentire attentissimi, come esseri dotati di ragione. Né si allontanarono dal posto, se non dopo aver ricevuto la sua benedizione. La vestizione Antonio in realtà si chiamava Fernando di Buglione; proviene da famiglia ricca ed a 15 anni entra nel monastero Agostiniano di Lisbona per poi trasferirsi al Monastero di Coimbra dove, dopo anni di studi approfonditi. viene ordinato sacerdote. Nel 1220 vicino al Monastero di Coimbra si insediano i frati Francescani provenienti da Assisi dove Francesco di Pietro di Bernardone aveva fondato il nuovo ordine approvato dal Papa.Inizia qui la sofferenza di Fernando che non accetta di servire Cristo vestendo le ricche vesti del frate Agostiniano. Si innamora della regola di San Francesco e pensa che nella povertà e nell’umiltà potrà sentirsi più vicino al Signore, al Crocifisso povero ed umile, lontano dal peccato e dalle tentazioni. |
DON ANGELO ZILIOTTO NEL RICORDO DEI SUOI GIOVANI | ||
Intervista a Giovanni Pasqualotto del 30 giugno 2009 Intervistato da: Teresa Marsetti, Giulio Todeschin, Mattia Lorandi, Sandro Soliman, Dino GREST 2009 – Giovanissimi Domanda: Come si lavorava ai suoi tempi? Si andava a lavorare a Schio perché Schio era zona più industrializzata di Thiene, che invece aveva più zona commerciale, perché i signori di Thiene volevano che la città restasse bella anche senza fabbriche e senza inquinamenti. Si andava a lavorare a Schio in bicicletta. Si partiva alla mattina alle 5,30 per andare a lavorare alle 7,00 e negli anni 1940 il tempo non era clemente come adesso. Nevicava tante volte e non era come ora che dopo mezz’ora le strade vengono pulite con lo spazzaneve. Allora c’era molta disoccupazione e noi andavamo con i badili dalla stazione ferroviaria di Thiene fino al confine con Villaverla per togliere la neve. La situazione era diversa da come è in questo tempo. Per andare a lavorare si facevano sacrifici enormi. Dal 1945 andai a lavorare sotto i tedeschi perché loro offrivano lavoro a Thiene presso la ditta Frau. Le biciclette spesso al posto del copertone avevano una gomma per spillare il vino. Non c’erano copertoni o non si avevano i soldi per comperarli. Si andava al lavoro spesso a piedi. Dal ponte di ferro della ferrovia c’era il coprifuoco e da là si andava con la bicicletta per mano. Io lavoravo presso la grande Frau. La fabbrica era situata in zona Bosco. Si andava a piedi perché i tedeschi non accettavano che qualcuno si muovesse in bicicletta, perché poteva scappare. Questo è avvenuto dopo che hanno ucciso il farmacista Zanin. E fino alla fine della guerra hanno applicato il coprifuoco. Il lavoro non era facile come adesso, cari ragazzi. Si lavorava al sabato e alla festa. Ma tre quarti della popolazione era a casa disoccupata. Viveva con i proventi del piccolo campo di terra perché da noi non c’erano fabbriche e molti migravano in Australia o in America. A quel tempo c’erano Italiani che lavoravano in molte parti del mondo. Dopo la guerra si è investito anche nell’industria. Quante ore lavorava al giorno? Dieci ore di lavoro al giorno erano nella media e si lavoravano fino a 70 ore alla settimana perché si lavorava tutto il sabato fino alle 17,00 e la domenica mattina. A che età ha incominciato a lavorare? Ho incominciato a lavorare a 12 anni e senza libretto di lavoro e lavoravo vicino alla stazione di Thiene, dove fino a poco tempo fa Lerolin vendeva sedie, dai fratelli Vaccai. Mi dicevano, data la mia giovane età :”quando vedi una persona con la borsa vai fuori e salta la siepe” Così si faceva ma una volta mentre ero attento al tornio a fare macchine per lavorare la pasta, un uomo mi batte sulla spalla, mi domanda l’età e non credendo che io avessi 14 anni, fa pagare alla ditta l’infrazione. La ditta da quel momento va sempre peggio e non riesce più a pagare gli operai. Qual è stato il lavoro più difficile da fare? Il lavoro più difficile da fare è stato quando sono passato dalla ditta Vaccai alla Ditta Frau ed ho dovuto fare il cosiddetto “capolavoro” che consisteva in un opera al tornio impegnativa e innovativa. Feci la testa di una grossa centrifuga per il latte, dato che la ditta Frau era specializzata nella costruzione di macchine per il latte. Ho costruito una testa, che poi dato l’uso spinto e le troppe sollecitazioni a cui era sottoposta e al riscaldamento, è scoppiata uccidendo l’ingegnere capo della ditta. Questo provocò la disfatta della Frau. La notte prima dello scoppio sono venuti a prendermi a casa alle 22 per ripassare la testa della centrifuga. Era un blocco di acciaio che si scaldava e aumentava di volume. Io sono tornato a casa all’una di notte. Il giorno dopo, la testa della centrifuga scoppiò. La testa era una parte importante ed era montata su una lanterna, che aveva 150 diaframmi che servivano per rompere il latte, che dalla mucca esce intero. Quando viene rotto acquista la facoltà di durare più a lungo senza deteriorarsi. Si rompevano i grassi e così si potevano togliere più facilmente per fare il burro. Come ha trovato il lavoro? Ci volevano anche una volta i “santoli” cioè persone che ti indirizzavano al momento giusto ma anche bisognava saper lavorare. Io sono stato fortunato perché avevo un fratello che essendo stato prigioniero durante la guerra, quando è tornato a casa gli hanno dato il posto alla Frau. Lui però volle andare a lavorare in Svizzera e così mi lasciò il posto. Chi gli ha insegnato il mestiere? Ho imparato nella prima ditta, da Vaccai, al tornio. Poi quando sono passato alla FLA che poi sarà la Frau ho incontrato un sergente dell’esercito tedesco, che vi lavorava, ed era un artista che mi insegnò il mestiere. Come era il paesaggio del Santo e come erano i giovani? Lampertico è ancora tale e quale. Solo il Santo è cambiato. Dove ora c’è la famiglia di Mario Saresin, partiva un sentiero (strozolo) di un metro di larghezza, dove passavano biciclette e piccoli carri. La prima pesca di beneficenza al Santo l’abbiamo organizzata con Rino Toniolo, avvalendosi di un triciclo per andare a raccogliere i regali, che le varie ditte ci facevano. Passando con il triciclo pieno di stoffe, siamo caduti nel fosso e abbiamo dovuto asciugare le tele per alcuni giorni. Rino Toniolo è stato per me come un genitore, mi ha trovata anche la fidanzata. Fu per me un uomo importante. Io abitavo a Lampertico ma vivevo al Santo. La mia casa era da don Angelo insieme con Salvino Soliman altri giovani. D’inverno si andava in canonica alla sera. Sembrava di andare in una ghiacciaia. Don Angelo Ziliotto aveva un paio di guanti senza dita che utilizzava per scaldarsi le mani. Noi andavamo nella zona dove c’era il caminetto, a destra entrando in canonica. Ci diceva sempre “ Cari i me tosi, cari i me tosi”e non sapeva cosa darci per tenerci con lui. Rino Toniolo era il secondo uomo importante del Santo dopo don Angelo. Aveva sempre una parola per i giovani e per gli adulti. Fu una figura importante per la parrocchia. Dove c’era una persona ammalata, lui andava a trovarla i gli portava conforto. Dove c’erano ragazzi che non frequentavano la catechesi parrocchiale, lui portava una parola di fede. Era buono e aiutava qualsiasi fosse nella necessità. La parrocchia era sostenuta da Rino Toniolo, da Silvino Soliman, da Cervo e da me. Per costruire la casa della dottrina siamo andati per tanto tempo a prendere i sassi nel Timonchio di Malo. Il trasporto veniva fatto con i mussi ( asini) e le vacche. Una mattina abbiamo trovato il pane fresco e il formaggio a colazione. Era stato don Angelo che a piedi (non usava la bicicletta) era andato fino a Molina di Malo per procurarci la colazione. Per noi fu una festa grande, che ancora ricordo. Come viveva don Angelo? Viveva nella povertà. Quando aveva qualcosa lo dava ai poveri. Aveva a cuore specialmente le persone di Lampertico. C’erano famiglie povere a Lampertico mentre al Santo c’erano poche famiglie con terreni di proprietà. Quindi la sua vita gravitava più a Lampertico. A Lampertico c’erano più operai, spesso disoccupati. Quindici giorni prima di morire dice a noi giovani:”Io muoio a Lampertico”. Noi gli chiediamo perché proprio a Lampertico e non sul suo letto. Ma lui insisteva: sarebbe morto a Lampertico. E la cosa avvenne proprio come lui aveva previsto. Durante il funerale della signora Fortuna, passando davanti alla casa del signor Carollo, quella scoppiata per il gas, è morto. Ci si è accorti che stava male perché mentre dava la benedizione incominciò a traballare. Io non fui presente alla sua morte. Questo fatto me l’hanno raccontato. (Testo non rivisto dall’autore) Intervista del giugno 2009 ad Eugenio Santacatterina di anni 78 Via Lampertico Thiene. Intervistato da: Giulio Todeschin; Dino Lei signor Eugenio, quando incomincia a lavorare? Incomincio a lavorare, a quattordici anni, facendo il contadino e andando a zappare. Io aiutavo sempre i miei nel lavoro dei campi. Gia a sei anni aiutavo la mamma nell’orto, poiché mio padre era morto che io avevo due anni. Andavo a rastrellare dietro ai grandi, e mi davano una colombetta alla settimana ( poche lire). Non pagavano me ma la davano alla mia mamma. Dopo i quattordici anni lavoravo otto ore al giorno. Ho lavorato anche durante la guerra. Vicino a una sega a nastro, davo i pezzi in mano al capo. I rapporti con gli altri operai erano buoni. Ci conoscevamo tutti fin da piccoli. Lavoravo da Malobbia. Dopo la guerra Malobbia non riesce più ad avere lavoro. Allora passo presso la ditta Pavinato, a fare il fonditore di alluminio. L’alluminio fonde a temperature più basse rispetto al ferro che fonde a novecento gradi.Ho trovato lavoro con facilità. In quel periodo cercavano operai per la fonderia e sono venuti a cercarmi a casa. Il mestiere veniva insegnato dal proprietario. Ho incominciato a fare gli stampi con la terra. Poco dopo, sono entrate nella ditta, le prime macchine a pressofusione. Da quel momento il mio lavoro è cambiato. C’erano, anche in quel periodo, le ferie, ma alle volte il proprietario ci invitava a lavorare anche qualche giorno in più per soddisfare la richiesta del mercato. La vita in quel periodo, dopo la guerra mi sembrava più dura di ora. C’era meno lavoro, e chi non aveva dei campi, a volte soffriva la fame. Com’era il paesaggio nei dintorni? È molto cambiato: Da Ca Beregane a Pavinato non c’erano molte case. Dall’altra parte della strada le case erano quelle dei Trentin, dei Dalla Vecchia, dei Zambon e deiRuaro (un’osteria) Le scuole elementari sono state costruite nel 1956 e sono state benedette da don Angelo a settembre, qualche mese prima della sua morte. Poi iniziavano le case di Lampertico, dove ora abito, che prima erano adibite a magazzini per frumento e cereali in genere. Mia nonna che oggi avrebbe centoquaranta anni mi diceva sempre di stare attenti alla strada che passava vicino alla mia casa per il pericolo di essere travolti da qualche carro trainato dai cavalli. Quella strada veniva detta “carrian” che significa “carro che va e viene”. Le coltivazioni erano simili a quelle attuali. Durante la guerra esisteva anche il mercato nero. Ti chiedevano qualcosa in più del valore, per avere del sale o dell’olio di oliva. Il pane e la pasta ti venivano dati mostrando la tessera. Per molte famiglie la vita in quel periodo è stata particolarmente dura. Ci sono stati anche oscuramenti per evitare di farsi individuare quando gli aerei americani venivano a bombardare la zona che era stata occupata dai tedeschi. Le zone in mano ai tedeschi erano illuminate a giorno. Vicino alla famiglia Bonora, e alla famiglia Pavinato c’erano delle mitragliatrici. Nelle scuole vecchie c’era il comando delle SS tedesche. Ho avuto paura, quando i tedeschi requisivano tutti i mezzi di trasporto che trovavano. Ho sempre temuto per la mia bicicletta. Da quando uccisero il podestà Dal Zotto era difficile poter entrare a Thiene. Per farlo bisognava esibire un tesserino. Il controllo veniva fatto dai fascisti della decima mas. L’alimentazione ? A casa mia c’era sempre qualcosa da mangiare. Noi lavoravamo dei campi e avevamo la stalla e questo ci permetteva di avere sempre della carne. Con il latte di capra riuscivamo a fare il burro. Il latte di mucca invece lo portavamo nella latteria che ci dava in cambio anche del formaggio. Ricordo ancora la scarsità di zucchero. Il latte lo bevevo aggiungendoci un po’ di sale. Da quel tempo ho mantenuto l’usanza. Il dolce tipico era il bussolà. Per fare il buco centrale, dato che non c’era un contenitore adeguato si usava un attrezzo che non bruciava in forno. I vestiti a nostra disposizione erano scarsi, ma puliti. Bisognava averne molta cura, e non giocare, se si era vestiti da festa. Mi sono sposato a Villaverla e la scuola cantorum di quella parrocchia ha cantato la messa, facendomi un grandissimo dono. Come ricorda don Angelo? Mi è ancora ben presente nella memoria. Quando è giunto nel nostro paese aveva circa quarantasette anni e veniva dal Dolo. La mia mamma diceva che era un bel uomo, scuro di carnagione. Io invece lo ricordo già brizzolato. Affabile con tutti, a tutti dava consigli e con tutti parlava. Nel caso mio, i suoi consigli erano anche più pressanti, perché essendo senza padre, mi invitava ad essere più obbediente alla mamma e di ascoltarla di più oltre ad essere più servizievole. Una volta che da chierichetto sono andato a mangiare da don Angelo e mi aspettavo di fare un pranzo lauto, mi sono visto mettere nel piatto, mezzo uovo e alcune foglie di insalata. Don Angelo era parsimonioso nel mangiare. Prima di lui in parrocchia erano venuti altri sacerdoti ma poi se n’erano andati, perchè non c’era molto da mangiare. Don Angelo è rimasto a lungo perché era anche professore nel seminario minore, dove i giovani, si preparavano con lo studio, a diventare sacerdoti. Era professore di italiano alle medie. Conosceva anche la musica e mi ha insegnato a cantare in chiesa. Il paese era piccolo e non c’erano tanti giovani che frequentavano la parrocchia. Alcune persone di Lampertico erano un po’ di sinistra politicamente e perciò alcuni giovani non frequentavano la chiesa. Ha fatto di tutto per costruire l’asilo. Non c’erano soldi e le famiglie spesso erano a corto anche di cibo. C’era un impresario edile importante della zona, un certo Crovato. Don Angelo è riuscito a farselo amico. Questo imprenditore, che era anche abbastanza ruvido con le persone, ha fornito la manodopera, e molto materiale per la costruzione della scuola materna. Dove viveva Don Angelo? Stava nella canonica verso mezzogiorno. Nel tempo restante, lo si poteva trovare in chiesa a pregare e a leggere. Stava per tanto tempo in chiesa. Faceva il giro per incontrare la gente del paese, due volte la settimana. Aveva una bicicletta nuova nel granaio, ma lui girava sempre a piedi. Viveva in modo parco, senza tanti indumenti di ricambio, a volte si potevano vedere le calze rotte. Però a me ha trasmesso una grande fede in Dio. Lui portava anche il cilicio per fare ulteriore penitenza. Possedeva un carisma particolare, che ti convinceva e ti conquistava. Spesso sorrideva ai giovani ma nello stesso tempo aveva un carattere forte. Ricordo alcuni fatti. Ero chierichetto durante i vespri del pomeriggio. Improvvisamente alcune persone si misero a parlare forte preoccupate per un temporale minaccioso, che stava per avvicinarsi. Don Angelo, quando ha sentito il vociare farsi sempre più forte, ha sospeso i vespri e ha incominciato a benedire verso l’alto. È uscito dalla chiesa e nonostante la grandine ha continuato a benedire le nubi. Lui non si è bagnato e la tempesta è cessata. Un altro fatto si riferisce alle cassette per le elemosine, che erano poste in chiesa una a destra e una a sinistra, vicino agli altari laterali. Don Angelo vede uscire dalla chiesa un tipo con sottobraccio una cassetta delle elemosine. Senza scomporsi vedendo nelle vicinanze Toni Trocca (Carretta) che era un anziano che per stare in piedi si appoggiava alla bicicletta ed era sdentato, lo invita a rincorrere il ladro. Toni non sapeva cosa fare, era titubante, dato che l’altro, che stava portando via la cassetta, era più giovane e prestante. Si fida e lo rincorre. Nel frattempo don Angelo l’aveva già bloccato. Poco lontano, vicino ai Tacca, poi Cervo , trova l’uomo e gli toglie la cassetta con le offerte e la riporta a don Angelo. Un altro fatto si riferisce a delle persone, che erano andate nella vecchia osteria di Spillere e che durante la notte si erano messe a bestemmiare Dio. La camera da letto di Don Angelo, dava proprio sulla strada, dove questi individui stavano a discutere. Don Angelo stava probabilmente pregando e non gradiva che qualcuno bestemmiasse. Per questo li ha bloccati al loro posto. Alla mattina tre donne, che dai casoni erano venute alla messa prima delle sei, vedono questi individui fermi al bar. Erano rimasti in quel luogo per tutta la notte. Finita la messa, don Angelo chiede alle donne, che erano venute alla chiesa attraverso il sentiero che ora corrisponde a via della Pieve di ritornare per la stessa strada quella dei Caltranei (famiglia Dal Santo). Dovevano dire alle persone, che stavano fuori del bar, che potevano andare a casa. E così fanno, e questi ricevuto l’ordine, prendono le biciclette e se ne vanno via .Non abbiamo mai saputo chi fossero anche perché don Angelo aveva imposto alle donne di non fare nomi con alcuno. Un fatto personale riguarda l’allevamento dei bachi da seta. In molte famiglie era in uso e di necessita, l’allevamento dei bachi da seta. Anche a casa mia si faceva questo allevamento, che portava in famiglia qualche soldo in più, utile anche per pagare l’affitto di giugno. Nel periodo in cui i bachi da seta venivano posti nel granaio, a completare la loro metamorfosi, c’era il pericolo che i bruchi si indurissero e si sgretolassero come la calce.. Si diceva che andavano in “calcina”. In quell’anno molti di loro erano andati in calcina e l’allevamento sembrava distrutto. La mia nonna mi manda da don Angelo per chiedergli una benedizione. Don Angelo mi domanda se abbiamo messo il ginepro, che era una pianta odorosa che aveva il potere di perseverare in salute i bachi. Al che io rispondo in modo positivo. Allora mi dice di andare a casa tranquillo che qualcosa sarebbe successo. Da quel giorno i bachi sono ritornati in salute, e hanno potuto concludere il loro ciclo e a formare i bozzoli della seta.Un altro fatto riguarda le suore che erano venute nel primo asilo. Erano di origine americana Avevano un pollaio per ricavare la carne per il loro sostentamento. Una domenica, don Angelo predica in chiesa e dice che lui i ladri li conosceva e che la smettessero di andare a rubargli le galline. In quel periodo particolarmente difficile, qualcuno andava a rubare con troppa facilità. Anche quando si faceva il bucato grande, quello annuale si rischiava di non trovare più i panni distesi al sole. Alle volte portavano via anche la corda e i pali. In genere era gente del posto che rubava anche senza necessità Don Angelo si faceva capire dalle persone? Parlava al cuore, era convincente, era forte e le sue prediche erano incisive. Quando è morto, la gente diceva che era morto un santo. Ha avuto due funerali. La prima volta l’hanno portato a Dolo. Poi visto che nella fossa c’era troppa acqua, su consiglio anche di don Giovanni Rossin, che nel frattempo era venuto a celebrare in paese, sono riusciti a riportarlo indietro e l’hanno sepolto nel cimitero di Thiene. Don Angelo, è stato anche professore di don Giovanni Rossin. L’impresario edile Crovato in punto di morte non voleva preti al suo capezzale se non Don Angelo. Era stato in grande amicizia con don Angelo e lo aveva aiutato a costruire la casa della dottrina cristiana, fornendo molto materiale, cemento e manodopera gratuita Nei momenti di pericolo? Durante il bombardamento del campo di aviazione la strada era piena di terra. Da Todeschin c’erano i fascisti e da Don Angelo i tedeschi. Don Angelo diceva a noi giovani:” Non stè parlare, non stè parlare perché i tedeschi sono cattivi” E lui doveva tenerseli incasa. (Testo non rivisto dall’autore) Intervista a Giovanni Todeschin di 75 anni del 24-07-09 Intervistato da: Giulio Todeschin e Dino Opportunità di lavoro quando era giovane, ai tempi di Don Angelo Ziliotto Io lavoravo in casa. La mia famiglia era ben inserita nella comunità di Santo e godeva di benessere. In certi periodi dell’anno andavo in cerca anche di mano d’opera per completare i lavori dei campi. Gli operai in quel periodo prima e dopo la seconda guerra mondiale si trovavano con facilità. In quel periodo del dopoguerra tante famiglie del Santo e di Lampertico avevano a disposizione un po’ di terra , anche quelli che andavano a lavorare in fabbrica o nell’edilizia e con il campetto potevano allevare una mucca e il maiale. A Lampertico ci sono ancora delle piccole stalle che in parte sono state trasformate in abitazione dove abitavano piccoli imprenditori agricoli e specialmente operai. Noi invece avevamo una grande campagna, ed eravamo i secondi produttori di uva che veniva conferita alla cantina di Malo, con circa 450 quintali . Il costo per la produzione dell’uva spesso eguagliava il ricavo della vendita dell’uva stessa per cui c’erano da quel lato poche possibilità di guadagno. Da noi c’erano spesso lavoratori stagionali Lavorare i campi: ieri e oggi Si andava a scuola fino alla quinta elementare. Da piccoli si andava a portare al pascolo le mucche specie verso ottobre. Il campo di aviazione è costituito da novanta campi del comune di Thiene. . Questi campi venivano dati in affitto a piccoli proprietari che possedevano qualche mucca. Così io potevo incontrare ragazzi della mia età che venivano a pascolare la propria mucca nel campo di aviazione. Il comune di Thiene concedeva in affitto anche altri campi a reduci della seconda guerra mondiale.. Loro poi subaffittavano ai proprietari più grandi. Nel periodo del pascolo si formava una fila di mucche che partiva da Lampertico e finiva al campo di aviazione. Io ho sempre avuto delle buone produzioni. Ho sempre fatto questo lavoro con passione. Da Bruxelles mi arrivavano sempre le normative europee. Ora in Europa sono spaventati perché l’agricoltura sta scomparendo. Questo anno si sono prodotti dodici quintali di frumento al posto di 28. Il frumento vale poco, tredici euro al quintale al posto di 19€. Il mais ora è bello, ha bisogno di sostegno per chi lo produce. Oggi lentamente si sta rovinando l’agricoltura. Il latte stesso viene pagato a 26 centesimi e viene importato dall’estero a ventuno centesimi. In Europa la situazione è difficile. Gli agricoltori sono sul piede di guerra perché la situazione dei produttori di latte è diventata insostenibile. Chi guadagna oggi è il commerciante che vende il latte a un euro e trenta centesimi. Lo compera a ventuno centesimi. Questo sta distruggendo l’agricoltura italiana. Bisognerebbe che il latte fosse pagato agli agricoltori almeno dai quaranta ai cinquanta centesimi. Anche il pane è cresciuto di prezzo ma il frumento non ha avuto analoga fortuna. Il pane costava 900 lire al Kg e il frumento veniva pagato a 36000 lire . Ora il pane costa seimila delle vecchie lire e il frumento viene pagato a quarantamila lire . il rapporto costo del pane, costo del frumento è saltato. I prezzi non sono più sotto controllo ma si sono formati i cartelli dei commercianti. Il consiglio sarebbe quello di fare in modo che l’industriale alimentare prendesse un po’ di meno per lasciare vivere in modo decoroso il produttore che altrimenti viene scacciato dal mondo del lavoro in quanto non riesce a mantenere la famiglia.. Ha visto dei cambiamenti nel mondo rurale e nella campagna intorno a Lei? C’è stato un grande cambiamento. Prima intorno la chiesa c’era tutta campagna, anche nella zona industriale. La soia era sconosciuta. Si coltivava il frumento, mais, maggengo, cinquantino. Si lavorava con le mucche. Si partiva alle due di notte per arare i campi. Le mucche sono animali intelligenti. Una volta che hanno imparato a compiere un lavoro lo fanno bene. A volte sembra che abbiano un’intelligenza molto superiore. Alle nove di mattina si tornava a casa. Parlando e decidendo quando finire il lavoro, lo zio Gaetano conduceva il tiro delle mucche, io conducevo il cavallo che era posto davanti e mio padre teneva l’aratro. Quando mio padre e mio zio dicevano che sarebbero andati a casa, il cavallo e le mucche capivano e facevano l’ultimo giro a una velocità doppia rispetto agli altri e quando si arrivava alla strada non c’era verso di farle continuare; esse andavano dirette verso le stalle. L’agricoltore vede nascere la vita,è vicino alla vita che si sviluppa. Noi facevamo conoscere la vita dei campi anche ai ragazzi delle scuole medie che venivano in visitada noi. Il periodo della guerra. Qui da noi c’era il comando tedesco e questo era l’ultimo aeroporto tedesco. Gli aerei Thunderballs, erano aerei pesanti e con maggiore autonomia. Messerschmitt Bf 109 Hangar è uno dei più importanti aerei tedeschi della seconda guerra mondiale appartenente all'Aeronautica Militare Tedesca (Luftwaffe). Gli aerei tedeschi avevano poca autonomia e quando arrivavano in prossimità dell’aeroporto erano costretti ad atterrare ed erano di facile bersaglio per gli aerei alleati. I piloti degli aerei tedeschi erano quasi tutti italiani dell’ Emilia Romagna. Venivano da mia madre e chiedevano un pezzo di lenzuolo. Ha dato a tutti camicie e stoffa bianca. Poi con questa partivano e piangevano. La stoffa bianca serviva loro per passare la frontiera aerea. Giorno di festa. Noi stavamo abbastanza bene e il cibo non mancava mai. Noi stessi davamo da mangiare a gente che passava per la nostra casa. Abbiamo dato da mangiare anche ad un ragazzo che è vissuto per qualche tempo da noi. Ci aiutavamo tanto tra compaesani. Il postino spesso si fermava da noi a mezzogiorno e mangiava con noi. Quella che era la tradizione alimentare della mia nonna è rimasta ancora viva fino ai nostri giorni. La biancheria veniva lavata spesso e le donne andavano a lavarla alla roggia. Mettevano i mastelli su di un carro e nella Verlata lavavano i panni. Come ci si sposava? Mi sono sposato a Novoledo. Dopo la cerimonia si andava nella propria chiesa e si riceveva la benedizione dal proprio Parroco. Questa tradizione è rimasta durante il periodo di Don Giovanni Rossin. In parrocchia si suonavano le campane. Lo sposo portava la sposa in parrocchia. Don Giovanni era persona aperta. Quando si compivano gli anni, don Giovanni faceva festa a tutti. Il mio viaggio di nozze è stato speciale perché ho potuto andare in viaggio a Roma.. Ho visto la scala santa. Quello era il pontificato di Giovanni XXIII che ho potuto incontrare durante una udienza per l’intervento di un cardinale che ho conosciuto casualmente durante la mia permanenza aRoma. Don Angelo Io ero piccolo quando l’ho incontrato. Era un parroco pieno di carisma. Era conosciuto come parroco santo. Da lontano venivano a benedire il sale per le bestie . Viveva nella miseria. Io al lunedì sera andavo in canonica con altri cinque giovani e restavamo là a parlare fino alle undici con don Angelo. Lui spesso ci lasciva parlare e ci guardava. Alle volte si discuteva anche di problemi nostri e i discorsi si facevano profondi. Parlava di educazione cristiana ma anche dei problemi inerenti la nostra vita futura. Sono riuscito a venire a casa in licenza speciale per partecipare al funerale di Don Angelo. Non ti stancavi mai di ascoltarlo. D’inverno portava dei guanti senza le dita. Aveva le dita piene di geloni. Io ho fatto il chierichetto fino a 15 anni. Lo accompagnavo nelle varie cerimonie religiose. Dovunque si andasse con Don Angelo, capivi che era un riferimento per tutti, che era importante per i consigli che dava. Quando andavamo nella chiesa di San Sebastiano di Villaverla per celebrare la messa, la gente era fuori in strada, data la grande devozione che avevano nei confronti di don Angelo. Era profondo e carismatico. Aveva influsso anche sulle persone di Villaverla. Dava consigli e risolveva problemi familiari. Andava a fare scuola al Barcon di Thiene. Non andava inbicicletta ma sempre a piedi. È stato importunato da due persone che volevano i suoi soldi. Lui non aveva soldi. Ha detto ai due giovanotti: ”Restate qua. Quando ritorno da scuola qualcosa vi darò.” Quando è tornato quei due erano ancora la. Non erano riusciti ad allontanarsi dal posto. Quando si andava per la benedizione delle case le persone si confidavano e chiedevano spesso consiglio. Durante la seconda guerra don Angelo era informato su quello che poteva succedere intorno al campo anche da mio padre che era un partigiano. Nella casa di Don Angelo c’era un comando dei fascisti di Salò che mantenevano l’ordine. (Intervista non rivista dall’autore) Intervista a Pierina Munaretto Soliman 7-07-2009 Via don Ziliotto Intervistato da: Marsetti Teresa, Ilaria Bedin, Giulio Todeschin, Dino Rizzato Età 79 anni. Mamma di due sacerdoti Paolini, Don Domenico e don Franco Soliman, e di Nadia Soliman, figlia molto legata alla mamma. Sposa di Silvino Soliman. Quante ore lavorava? Ho lavorato per venti anni in fabbrica. Per dieci anni ho lavorato nella produzione di maniglie e per dieci anni ho lavorato nel magazzino, addetta agli imballaggi. Dopo la fusione e lo stampo le maniglie si pulivano, si smerigliavano. A sera eravamo nere in faccia per la polvere. Ci chiamavano i “musi unti “. Ho fatto dieci anni presso questo reparto lavorandootto- nove ore al giorno. Nel periodo in cui ero nel magazzino lavoravo anche dieci- dodici ore al giorno. Tornavo verso le dieci di sera. Sempre da sola, con molta paura e con la corona del rosario in mano. Una sera, vicino all’hotel La Torre, ho visto due uomini fermi all’incrocio e con molta paura sono venuta avanti. Per fortuna erano due della polizia che stavano facendo un controllo. Arrivavo a casa sempre dopo le dieci di sera. Se arrivavo prima la mamma mi chiedeva se stessi male. A che età è andata a lavorare? A diciassette anni, prima ho frequentato un istituto professionale. Alla fine del corso, dopo aver pagato la tassa per avere il diploma, sono rimasta delusa. Il diploma lo sto ancora aspettando. Era tempo di guerra e tutto poteva succedere, anche che perdessero il diploma. Come erano i rapporti con gli altri compagni di lavoro? I rapporti erano buoni. Mi fermavo là a mangiare assieme a molti altri. Il datore di lavoro si comportava bene. A volte ci portava in gita. Con lui siamo andati anche a Riese Pio X. Quando ho avuto la prima figlia, la Nadia, sono andata a lavorare fino al sesto mese e poi un altro mese per insegnare il lavoro alla mia compagna, che mi avrebbe sostituito. Ma lavoravo restando comoda. Come ha trovato il lavoro? Per mezzo dell’azione cattolica. Andavo ai ritiri spirituali, organizzati dalla diocesi. Durante uno di questi ho incontrato la sorella del mio futuro datore di lavoro che mi ha proposto di andare a lavorare da lei. E così ho incominciato il lavoro che ho tenuto per venti anni. C’erano tante donne che lavoravano? In quel periodo molte erano le donne che andavano a lavorare. Essendo la ditta vicina a Zanè, c’erano circa metà degli abitanti di quel paese al lavoro, sia uomini che donne. Gli uomini prendevano uno stipendio migliore rispetto a noi donne. Per essere assunti regolarmente bisognava fare un periodo di prova di qualche mese. Quando sono passata al magazzino, ho dovuto fare un periodo di prova molto lungo, quasi sei mesi, senza stipendio. Il mio datore di lavoro era ToniMarcante. Avevate ferie? Forse due giorni all’anno, il giorno dell’Assunta e il sedici agosto È cambiato qualcosa nel paesaggio del Santo? Nel tempo in cui ero giovane c’erano poche case, due o tre in tutto. Poi col passare del tempo le case sono aumentate fino alla edificazione delle case del Villaggio San Antonio. Le strade erano strette. Allora il Santo contava novecento abitanti e le strade erano piene di ghiaia. Nei campi si coltivava come ora, mais, frumento e fieno. Le persone residenti al Santo erano poche, la maggioranza risiedeva a borgo Lampertico. Noi lavoravamo in affitto la terra. La terra era avara, ma ci forniva quanto ci bastava per vivere. Ci è capitato anche che si bruciasse completamente la casa. Non si è salvato niente, se non una cassa di stracci, al posto della cassapanca con la dote della mamma. Per vestirci abbiamo dovuto andare a prendere i soldi in anticipo dalla latteria, cui portavamo il latte della nostra stalla. Tante buone persone ci hanno aiutato in quel difficile momento. Ricorda qualche episodio di guerra? Era verso Natale. Quella mattina alle nove quattro dei miei familiari erano andati a messa. Verso le dieci sono arrivati gli aerei con il loro caratteristico rumore, a bombardare il campo di aviazione che costeggiava la strada del Santo e partiva da Cà Beregane, fino al torrente Verlata di Villaverla. Nel campo di aviazione durante la guerra c’era una officina per aerei tedeschi. C’era una strada che da Rozzampia andava verso via Braglio. La strada veniva chiamata massicciata. I tedeschi non volevano lasciare agli americani gli aerei e quindi hanno minato tutto il campo. Poi hanno avvisato che avrebbero fatto esplodere le mine. Io, in quel giorno ero andata a prendere, come al solito, acqua da un pozzo poco lontano da casa. E mentre trasportavo i secchi colmi di acqua, hanno fatto esplodere una mina. Sono stata spinta a terra dallo spostamento d’aria, i secchi sono volati via, i vetri della mia casa sono andati in frantumi e una scheggia di granata mi è passata vicino alla testa. Siamo scappati tutti a ripararci sotto gli archi della grande casa della corte del santo. Anche don Angelo era con noi e ci siamo messi a dire le preghiere. Siamo poi riusciti a capire quando facevano esplodere le altre mine. Si vedeva infatti poco prima dell’esplosione un filo di fumo che saliva in alto. Tante furono le schegge che ci raggiunsero. Molti di noi sono andati sfollati, perché a casa mia era stata piazzata una contraerea e c’era anche il comando tedesco. Davanti al muso delle bestie che erano in stalla è scoppiata anche una granata. Noi ci siamo dispersi in giro per le altre case ed avevamo molta paura. La trebbia stava lavorando dietro alla casa della famiglia Antoniazzi. I tedeschi hanno anche ucciso una persona di Molina. Poi i tedeschi si sono rivolti verso di noi. I nostri giovani si sono nascosti in mezzo ai campi di mais e le case più lontane. Se li avessero presi, li avrebbero spediti in Germania e forse non sarebbero più tornati. Abbiamo passato dei brutti momenti e il ricordo è ancora vivo nella mia mente. In un’altra occasione i tedeschi sono venuti a prendere un uomo che abitava vicino a noi. Lo hanno caricato sul camion come fosse un sacco di patate. Alimentazione. Cosa mangiavate di solito e nelle festività? Noi eravamo fortunati perché avendo dei campi e una stalla, potevamo mangiare un pò di tutto. Non avevamo soldi liquidi, ma avevamo la disponibilità del maiale e di qualche pollo. Nei giorni di festa mangiavamo il manzo. Si aveva la pasta per ciascun giorno. La facevo anch’io. Mi ero specializzata nel fare i bigoli. Come vi vestivate? In casa, noi usavamo un cappotto in tre persone. Il bucato veniva fatto spesso e non come nelle grandi fattorie che facevano il bucato due volte l’anno. Quando si tornava a casa ci toglievamo subito l’abito della festa e ci mettevamo vestiti più usuali. C’era un proverbio che diceva: “ il vestito fa onore a chi lo rispetta.” Noi andavamo da Rossi, a Thiene, per comperarci il vestito. Prima però, la mamma, andava al mercato, a vendere i polli. Come è stato il suo matrimonio? Ci siamo sposati al Santo. La cerimonia in chiesa è stata molto bella e c’era la presenza di don Angelo. Il pranzo si faceva in casa ed era abbondante. La mamma della sposa non partecipava al matrimonio. Infatti nella foto appare vestita con il vestito da casa. Con Don Angelo partecipavamo molto all’azione cattolica. Il gruppo delle inscritte era molto numeroso. Don Angelo viveva nella povertà più assoluta. Viveva in modo sobrio. Veniva aiutato dalla carità dei parrocchiani e dal quartese, una specie di colletta che gli veniva consegnata ogni anno da ciascuna famiglia che aveva dei terreni. Con i ragazzi don Angelo era socievole e si comportava come un padre. In quel periodo la messa era in latino. A me piaceva molto e mi piace ancora ascoltare brani, cantati in latino. Qualche ricordo di don Angelo Era molto alla buona. Quando andava a portare l’eucarestia agli ammalati e passava davanti alla mia casa, teneva sempre una mano sopra la teca. Noi al suo passaggio ci inginocchiavamo per terra e pregavamo. Al suo ritorno si fermava a parlare con le varie famiglie. Mi ricordo in particolare di un fatto. Quando nascevano i maialini, se la luna era calante, questi non camminavano. Allora la mia mamma mi mandava da don Angelo con qualche spicciolo perché benedisse un pò di farina. Don Angelo mi riceveva in sacrestia. Era sempre rintracciabile in quel posto. Mi chiedeva di inginocchiarmi e di pregare. Mi invitava a fare la mia offerta, all’altare di san Antonio, e di non ringraziarlo. Dopo, tornata a casa, la mia mamma preparava da mangiare per i maialini, usando la farina che prima era stata benedetta, e questi dopo aver mangiato, mettevano a correre per la stalla. Erano guariti completamente. Tanta gente anche di Villaverla veniva da Don Angelo per ricevere la sua benedizione. Non bisognava poi dire grazie ma solo “ per carità”. Quando tempestava i contadini dicevano:” Ma don Angelo dove sta? Perché non dà la benedizione?” Lui in realtà era sempre pronto a benedire le nubi perchè non portassero la tempesta, che in un batter d’occhio distruggeva il raccolto di un anno. Ogni settimana andavamo a fare le pulizie in chiesa e nella casa di don Angelo. Noi potevamo entrare e uscire senza riguardo anche nel suo archivio. Le porte erano sempre aperte per chiunque. Non era attaccato ai beni di questo mondo e ce lo faceva capire. Ultimamente una donna gli portava uno scaldino da mettere accanto ai piedi per riscaldarlo durante le ore che passava in sacrestia. Uno scialle nero della sua mamma, gli ricopriva le spalle. Che ricordo ha di Rino Toniolo? Lo ricordo bene; era una persona importante in parrocchia, che lavorava spesso con i giovani. A casa sua si preparavano anche i biglietti per le prime pesche di beneficenza che si facevano durante la festa di San Antonio. Abitava in Via del Zocco e poi a Lampertico. Era spesso malato. Teneva spesso i contatti con i giovani e le famiglie. (Intervista non rivista dall’autrice) Intervista a Dal Santo Francesco di anni 90 Giovedì 16-07-2009 Intervistato da: Todeschin Giulio, Berlaffa Veronica, Sudiero Mattia, Dino. Quando ha iniziato a lavorare? Io da giovane facevo il contadino, non era difficile fare il lavoro e lo si imparava dai genitori. Altro lavoro lo si poteva fare nell’edilizia, ma non ti mettevano sempre in regola. Altri andavano a fare gli operai in qualche fabbrica, ma erano pochi. Si incominciava a lavorare da molto giovani, quando non si avevano ancora dodici o tredici anni. Per tanti anni ho lavorato nelle fornaci di Villaverla. Mi interessavo dei forni, non ad accendere il fuoco ma a infornare il materiale che doveva venire cotto e dopo una settimana lo toglievo dal forno e lo accatastavo nel cortile della fornace, pronto per essere caricato nei camion e portato nei cantieri edili. Cominciavo a lavorare verso le cinque del mattino. I rapporti con gli altri compagni di lavoro erano buoni, ci si conosceva da piccoli e si poteva fare qualche parola. Cosa serviva il campo di aviazione che era situato proprio sulla vostra terra? Il campo di aviazione serviva ai tedeschi per nascondere degli aerei. Solo quelli di cartone erano messi in bella mostra. Quelli veri venivano mimetizzati bene. Un giorno, nella fase di atterraggio un aereo tedesco si è piantato per terra e capovolto. I due piloti sono morti sul colpo e inutili sono stati gli sforzi degli altri soldati per raddrizzare l’aereo. Si sentiva da lontano il loro ritmo cadenzato “OH dai” per rimetterlo in assetto. Tutto fu inutile. I due militari sono stati sepolti momentaneamente nella campagna di Dal Ferro, una grande azienda agricola. In quel periodo qualcuno praticava anche il mercato nero ma in generale si riusciva a mangiare con regolarità anche perchè possedevamo dei campi e una stalla. Alle volte si tenevano nascosti ragazzi perché non venissero mandati in Germania o anche soldati tedeschi in fuga. In ritirata i soldati se ne andavano verso Thiene. Una volta sopra la cabina di un camion si era seduto un soldato con la faccia rivolta all’indietro. Non si è accorto dell’approssimarsi del Ponte di Ferro, sopra il quale passa la ferrovia. È stato sbalzato a terra dal ponte ed è morto all’istante decapitato. Anche dei partigiani si nascondevano. Alcuni erano persone oneste, altri erano solamente degli aproffittatori, che razziavano quello che i tedeschi avevano lasciato indietro. Anche un De Rossi è stato ucciso da partigiani. Come viveva don Angelo? Viveva con sua madre. Andava al seminario minore, il Barcon, a fare scuola. Partiva ogni mattina a piedi e faceva alcuni chilometri, pregando. Viveva discretamente come si addiceva ai tempi. Era temuto come una persona santa. Benediva anche i bachi da seta quando erano colpiti dalle formiche e da malattie. Don Angelo era stato sepolto a Dolo, ma poiché nel cimitero c’era acqua anche nelle tomba , siamo riusciti a riportarlo a Thiene, nella tomba dei sacerdoti. Don Angelo ci teneva alla confessione. I ragazzi andavano a confessarsi ogni settimana. Sapeva anche accogliere i giovani. Portava anche il cilicio., una cintura con punte di ferro sulla pelle.. Quando si avvicinavano temporali minacciosi faceva suonare le campane e benediva le nubi. Passava molto del suo tempo in chiesa. Portava anche i bambini delle elementari a pregare in chiesa. Riusciva a fermare anche le persone che andavano a rubare in chiesa. Ci consigliava di imparare a memoria il catechismo di Pio X. Non aveva una gran voce per cantare. Don Piero Saccardo aveva una voce potente per il canto. ( testo non rivisto dall’autore) Intervista a Dall’Igna Giuseppe (Pino) del luglio 2009. Intervistato da Dino Mi ricordo che una volta i miei genitori mi hanno mandato da Don Angelo per richiedere una benedizione per alcune mucche che si erano ammalate in modo abbastanza grave. Quando don Angelo mi vide disse:” Ti aspettavo” e benedì attraverso di me la mia stalla. Aveva anche molta fiducia nella provvidenza. Dopo alcuni giorni dalla benedizione impartita agli animali della mia stalla, poiché io sono andato a portargli in segno di riconoscenza un cotechino, sembrava che mi stesse aspettando. E me lo disse anche, che mi stava aspettando. Io rimasi allibito per la sua giusta previsione. La sua mamma mi disse che don Angelo mi stava aspettando. Infatti lei aveva messo l’acqua sul fuoco, la pentola stava per bollire e ci mancava solo il cotechino che io gli ho portato. Questo fatto mi è rimasto scolpito nella memoria e ancora oggi lo ricordo con stupore. ( Non rivistadall’autore) |